E’ un groviglio di fiumi e montagne nel cuore dell’Asia centrale, con quel nome tutto consonanti, Kyrgyzstan, che lo rende oscuro come la sua posizione nel mondo. La catena montuosa del Tien Shan e l’altopiano del Pamir sono i suoi monumenti geografici, con le vette del primo che lo separano da Cina e Kazakistan e le pianure d’alta quota del secondo che lo uniscono al Tagikistan. Dalla rivoluzione dei Tulipani del 2005 il turismo sta diventando un protagonista della sua economia, con schiere di europei zaino in spalla che anno dopo anno ne esplorano la natura incontaminata.
E’ bene precisarlo subito: il Kirghizistan – questo il suo nome italiano – non va bene per chi ha bisogno di comfort. Le città sono poche, le banche e gli uffici di cambio ancora meno; solo le strade principali sono asfaltate e spesso i cellulari non prendono. Ma è facile da raggiungere in aereo e ha una qualità che pochi altri possono vantare: ogni chilometro quadrato del suo territorio è meraviglioso. E allora d’estate vale la pena di osare quello che nel resto dell’anno risulta impossibile, ovvero entrare nel Paese da nord via terra, dal Kazakistan, attraverso quel confine nella valle di Karkara che dall’autunno alla primavera è bloccato per la neve. La frontiera si raggiunge solo in taxi ed è un container lungo una strada sterrata, circondata da una piana dove i cavalli pascolano liberi come ai tempi di Gengis Khan. Gli ufficiali della dogana non vedono l’ora di parlare con gli italiani, ma è meglio è essere prudenti perché tra i principali pericoli dell’Asia centrale ci sono le forze dell’ordine corrotte.
Il primo centro abitato del Kirghizistan dista decine di chilometri e non esistono trasporti pubblici in questa parte di Paese. Se non si ha fretta – e non si accetta la proposta dei poliziotti di farsi a venire a prendere da un loro amico in cambio di decine e decine di dollari – basta incamminarsi verso il villaggio di Karkara e attendere che passi qualcuno cui chiedere un passaggio. Meglio abituarsi: in un Paese dove gli autobus sono pochi e i furgoncini chiamati marshutke partono solo quando sono pieni, passeggiate e autostop a pagamento sono le uniche certezze.
In due ore di automobile si raggiunge l’Issyk-Kol, il secondo lago alpino più grande al mondo, celebre per non ghiacciare nemmeno in inverno nonostante i 1600 metri d’altitudine. Sono lontani i tempi della guerra fredda, quando la regione era interdetta ai non residenti perché il lago era una base di test militari dell’esercito sovietico. Ora l’Issyk-Kol è una destinazione turistica con hotel e resort che continuano a nascere intorno alla cittadina di Cholpon-Ata, capitale di una movida balneare che fa del trash il suo tratto distintivo con orde di turisti russi e kazakhi, moto d’acqua e bancarelle di magliette inneggianti Vladimir Putin.
Per i turisti occidentali può risultare insopportabile, ma è un’occasione imperdibile per trovare bancomat e ristoranti con uno standard di comodità europeo. Nella strada che costeggia il sud dell’Issyk-Kol le folle di turisti non sono ancora arrivate e la vita dei kirghizi prosegue secondo la tradizione. Nelle vicinanze di Barskoon c’è un villaggio con una fabbrica di yurte, nella cittadina di Bokonbayevo ogni agosto si celebra il Festival della falconeria. Le poche città del Kirghizistan non sono molto ispirate. La capitale Bishkek ha come uniche attrattive i palazzi e le statue di origine sovietica, mentre la millenaria Osh, al confine meridionale con l’Uzbekistan, è un reticolo afoso di case basse, mercati e cambiavalute.
Il paesaggio per spostarsi da una regione all’altra è sempre strepitoso, con fiumi che scorrono tra gole rocciose, laghi turchesi e vette innevate all’orizzonte. Una delle caratteristiche del Kirghizistan è la possibilità di pernottare presso la comunità locale in case private o yurte, abitazioni mobili simili a tende circolari tipiche dell’Asia centrale. In tutto il Paese sono presenti gli uffici turistici del “Cbt”, che aiutano i turisti a trovare alloggi o organizzare escursioni a cavallo. Ad Arslanbob, nota per una delle foreste di noci più grande del mondo, ci sono una ventina di famiglie che ospitano i viaggiatori in fattorie e casette di campagna dove oche e galline scorrazzano nel giardino.
Il Song-Kol, un lago a tremila metri sul livello del mare, è la più grande attrazione del Paese. Dista meno di tre ore d’auto da Kochkor ma la vera sfida è raggiungerlo a cavallo. Le agenzie della cittadina propongono un itinerario con almeno due giorni in sella e due notti nelle yurte dei pastori. La guida potrebbe essere un ragazzino kirghizo che non parla una parola di inglese, ma non servono traduzioni per capire la vita dei nomadi dell’Asia centrale. Bevono latte di giumenta fermentato e cenano con riso, carne e verdure; come servizi igienici usano buche scavate nella terra, la loro acqua corrente è quella che scorre nei fiumi. Il secondo giorno di cavallo è il più atroce perché tutte le ossa e i muscoli del corpo chiedono pietà, ma la destinazione finale ripagherà di ogni sforzo per gli anni a venire.
ll Song-Kol è circondato dalle montagne del Tien Shan, in una piana punteggiata a perdita d’occhio da yurte, fiori e pascoli estivi. A renderlo indimenticabile basterebbero il sole, le nuvole e le stelle, i tramonti che incendiano il cielo e i temporali che scoppiano all’improvviso. E invece c’è anche il suo silenzio, rotto solo dal vento e dai nitriti dei cavalli: centinaia di cavalli liberi, che galoppano sui prati di questo posto sperduto del mondo.
(Repubblica.it, 5 luglio 2017)