PATAGONIA, LA MONTAGNA ESTREMA
Sono in fondo all’America del Sud, a quasi tremila chilometri da Santiago e Buenos Aires. Sono costosi da raggiungere, faticosi da visitare. Spesso mandano all’aria i piani dei visitatori perché avvolti da nebbie, spazzati da venti gelidi o fragorosi temporali. Ma il fascino questi due parchi della Patagonia meridionale - il Los Glaciares in Argentina e il Torres del Paine in Cile - è fatta anche di questo: e nessun imprevisto potrà rovinare le meraviglie della natura racchiuse in questo di pezzetto di mondo.
C’è tutto quello che si sogna, alla fine del continente sudamericano: laghi, ghiacciai, montagne, animali selvaggi, arcobaleni, cieli sconfinati. Gennaio e febbraio sono i mesi più soleggiati dell’anno, ma alle volte marzo e aprile sono una scelta ancor più azzeccata perché il vento estivo dà una tregua. Potrebbe comunque capitare di svegliarsi la mattina per il rumore incessante delle folate, tanto da chiedere ai ranger se sia sicuro mettersi in cammino sui sentieri, in quelle condizioni. E sentirsi rispondere: «Vento? No, oggi non c’è vento».
Per chi discende la Patagonia il Los Glaciares è il primo parco che si incontra, all’altezza della cittadina di El Chaltén. Sul come raggiungerla, dipende da quanto tempo si ha a disposizione. El Chaltén è in una zona spopolata che dista circa 2500 chilometri da Buenos Aires e da Santiago, con l’aeroporto più vicino a duecento e passa chilometri più a sud, a El Calafate. Chi desidera invece raggiungere il parco via terra dal nord dell’Argentina si troverà davanti a un dilemma, reso ancor più complicato da un paese deserto e sconfinato: come fare a percorrere la mitica (e remota) Ruta 40 che scorre parallela alle Ande? Se non si dispone infatti di un mezzo proprio e di un portafoglio ricco, affidarsi ai mezzi locali può risultare un’impresa.
Sui siti www.plataforma10.com e www.omnilineas.com si possono trovare dei bus da Bariloche, 1600 chilometri a sudovest di Buenos Aires, che in circa 24 ore percorrono i 1400 chilometri di Ruta 40 per El Chaltén. Ma se si è già in viaggio lungo la Ruta 3, l’unica altra strada che taglia la Patagonia da nord a sud, in questo caso lungo la Costa atlantica, può risultare difficile attraversare in orizzontale il paese per collegarsi alla Ruta 40. Se non si riesce a farlo all’altezza di Comodoro Rivadavia non resta che arrivare a Rio Gallegos, 780 chilometri più a sud, e poi risalire 450 chilometri verso nord, lungo le Ande.
L’arrivo a El Chaltén rimarrà comunque scolpito nella memoria di ogni viaggiatore. Il massiccio del Fitz Roy, 3405 metri, domina il paesaggio con la sua forma a dente di squalo, mentre il Cerro Torre, 3128 metri d’altezza e una parete rocciosa acuminata lunga quasi un chilometro, completa un panorama di una bellezza primordiale: resa ancor più straripante dal fatto che le montagne emergono senza preavviso dalla pianura, tremila metri più in basso. Fondata negli anni ’80 per anticipare il Cile nella rivendicazione di quelle zone deserte, El Chaltén è una cittadina di frontiera che fa da base a scalatori ed escursionisti con tanti ostelli, campeggi e cottage di lusso. Per chi si limita al trekking il Fitz Roy e il Cerro Torre sono raggiungibili con camminate di un’intera giornata, ma per visitarli entrambi nella stessa escursione è necessario pernottare in uno dei campeggi all’interno del parco.
Nonostante possa sembrare un’idea romantica, lasciare El Chaltén in autostop non è una buona soluzione: basta dare un’occhiata alla ressa di persone con il pollice alzato, per capire che per abbandonare la cittadina potrebbero volerci giorni di attesa. Molto meglio raggiungere con due ore di bus El Calafate, da cui il celebre ghiacciaio Perito Moreno si visita in giornata, e proseguire per 270 chilometri sino alla cittadina cilena Puerto Natales. C’è un silenzio perenne in questo porto da ventimila abitanti, con case di legno, fiori di campo, gabbiani, venditori di molluschi essicati e murales che inneggiano alle lotte operaie. Difficile da credere che a dure ore di bus si nascondano 230 mila ettari di montagne, laghi, cascate e ghiacciai, condensati in un parco che per molti è il più spettacolare di tutto il Sudamerica: il Torres del Paine.
Visitarlo con un’escursione in giornata da Puerto Natales è la scelta migliore per chi ha fretta e si accontenta di restare con una vita di rimpianti. Il parco è così esteso che molti appassionati vi dedicano più una settimana di tempo, ma percorrendo il cosiddetto percorso a “W” – così chiamato perché ricorda la lettera dell’alfabeto – in quattro o cinque giorni si possono ammirare tutte le sue principali attrazioni. Come le tre guglie di granito che danno il nome al parco, il Ghiacciaio Verde, la valle dei francesi, i tanti laghi e Los Cuernos del Paine, due montagne imponenti dalla forma che ricorda tanto quella delle corna. La maggior parte dei viaggiatori comincia le escursioni dalla Laguna Amarga - perché è qui che arrivano quasi tutti i bus che collegano il parco a Puerto Natales - e rientra qualche giorno dopo con il catamarano che attraversa il Lago Pehoé sino a Pudeto.
Ben più difficile delle camminate nel parco è però programmare le escursioni e i pernottamenti, perché le possibilità sono davvero numerose e i posti letto in rifugi e campeggi vanno a ruba con settimane di anticipo. Dal 1978 riserva della biosfera dell’Unesco, il parco Torres del Paine è popolato da nandù, condor, fenicotteri e guanachi, camelidi selvaggi che pascolano in steppe aperte dove il loro predatore naturale, il puma, non può avvicinarsi senza essere visto.
Anche se si tratta di un’ipotesi rara, è possibile che a incontrare il puma sia però un camminatore. Per questo il Ministero dell’Agricoltura cileno diffonde le istruzioni sul comportamento da tenere: «Indietreggiare lentamente guardandolo negli occhi», si legge nei manifesti appesi a Torres del Paine e negli ostelli di Puerto Natales. «Cercare di sembrare più grandi e minacciosi: allargare le braccia e urlare». Nella speranza che il puma non faccia un balzo in avanti per aggredire. Perché in tal caso, il Ministero dà una soluzione più adatta alle popolazioni indigene di un tempo che ai turisti di oggi: la lotta corpo a corpo. «In caso di attacco difendersi con forza, colpendolo sul muso», è il suggerimento. Come precisa il parco sul sito www.parquetorresdelpaine.cl è un eventualità estremamente rara, per cui non c’è nulla di cui preoccuparsi. La sventura molto più probabile di un viaggio in Patagonia è un’altra: che dopo migliaia e migliaia di chilometri di viaggio, le Torres del Paine – e così le vette del Fitz Roy o del Cerro Torre – restino coperte dalle nuvole per giorni.
(Repubblica.it, 31 gennaio 2018)