CORSICA, UN'ISOLA DI MONTAGNA

Primordiale, rugosa, selvatica, quasi disabitata. E’ una fortezza in mezzo al mare: con spiagge dall'acqua caraibica, coste spazzate dal vento, boschi, montagne. E un popolo orgoglioso, che ancora oggi cancella le scritte in francese dai cartelli stradali. 

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Anche sul mare sembra di stare in montagna, con vette di duemila metri dietro alle spiagge e ristorantini tra le barche dove si mangia cinghiale. E’ una fortezza in mezzo al Mediterraneo, la Corsica. Primordiale, rugosa, selvatica, quasi disabitata. Se si arriva via nave è difficile non sbarcare a Bastia, città di porto con stradine strette e palazzoni di cemento all’ombra del “dito”. Per scavalcarlo serve pazienza: niente gallerie, solo tornanti che si arrampicano in cima per ridiscendere subito dopo. La vista è da capogiro, con l’isola d’Elba e Capraia proprio lì davanti e Capo Corso che si protende nel mare blu.

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Il borgo marinaro di San Fiorenzo è appena in fondo alla discesa; il deserto delle Agriate, con le sue spiagge meravigliose, bisogna guadagnarselo. In questa zona selvaggia di 35 chilometri regnano scarpate rocciose e cespugli di rosmarini alti come alberi, ma tra la strada carrabile e il mare passano chilometri di sentieri sterrati. Diverse le soluzioni per attraversarli: camminare, affittare una mountain bike, un cavallo o cercare un posto nelle jeep che dai paesini fanno la spola sino alle spiagge. La fatica si dimentica in fretta a Saleccia, che con la sua sabbia bianca e l’acqua cristallina ricorda a tanti i Caraibi. La tentazione di proseguire lungo la costa porta nella regione della Balagne, chiamata anche “giardino della Corsica” per la fertilità della sua terra. Ma vale la pena di allungare il viaggio e avventurarsi nell’interno per visitare Corte, cittadina montana introversa, profondamente corsa nel cuore e nell’anima. La città è stata al centro dei destini dell’isola fin da quando il generale Pasquale Paoli ne fece la capitale della giovane repubblica corsa, nel 1755, e ancora oggi è una roccaforte del nazionalismo autonomista. Le scritte politiche in questa parte di isola sono frequenti e anche la toponomastica rivela il tormento dei suoi abitanti, con i nomi in francese dei paesini cancellati dai cartelli stradali.

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La strada interna che scavalca il Monte Cinto - il più alto dell’isola, a 2706 metri sul livello del mare – porta in due ore mezza sulla costa occidentale. A nord c’è Calvi, con i suoi lussuosi yacht nel porticciolo turistico e l’atmosfera da località balneare della Costa Azzurra. Essere assaltata è il suo destino: prima da predoni ed eserciti, ora da turisti attirati dalla baia sabbiosa a forma di mezzaluna, con le montagne alle spalle e la cittadella fortificata in mezzo al mare. Sopra il molo svettano i bastioni ocra di origine quattrocentesca, con torri di guardia e merlature tipiche delle fortificazioni genovesi.

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I cento chilometri che separano Calvi da Capo Rosso sono probabilmente i più spettacolari della Corsica. Un’avventura tortuosa, spesso ad alta quota, che costeggia insenature e boschi, picchi frastagliati e pendici erose che digradano in mare. La Riserva naturale di Scandola è nella lista dei patrimoni dell’umanità dell’Unesco, come il golfo di Girolata e le Calanques de Piana.  Scandola si visita solo via mare e le escursioni durano almeno mezza giornata: l’ideale è partire da Porto, località marinara a piedi di una vallata coperta dai boschi a ridosso delle Calanques e dei suoi strepitosi sentieri. I calanchi sono un fenomeno geologico di dimensioni gigantesche, con chilometri di rocce rossastre modellate dal mare e dal vento lungo la strada che porta a Capo Rosso. La torre di Turghio, piccola fortificazione in pietra costruita in cima alla montagna su uno strapiombo di 300 metri, si raggiunge con un trekking di circa quattro ore, impegnativo non per il dislivello ma per la mancanza d’ombra.  

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Ottanta chilometri dopo Ajaccio c’è Sartène, che con le sue case di granito grigio, i vicoli ciechi e un’atmosfera cupa incarna perfettamente lo spirito della Corsica. Nota nel XIX secolo per il banditismo e le vendette sanguinarie, il romanziere francese Prosper Mérimée la definì «la più corsa delle città corse». Ora è una cittadina turistica disseminata da negozietti di salami, formaggi e vino, ma le sue abitazioni dalle facciate un po’ fatiscenti conservano l’anima trasandata del passato. Ancora un’ora di strada e si arriva a Bonifacio, estrema punta meridionale dell’isola abbarbicata su una falesia di 70 metri. Quando fischia il vento, è lui il protagonista: nella parte marinara domina il suo sibilo tra vele, in quella sulla scogliera rende difficile anche stare in piedi. I 187 gradini de L’Escalier du Roi d’Aragon sono scavati nella falesia e scendono sino al mare:  vennero costruiti per accedere a una fonte d’acqua scoperta dai francescani, ma leggenda narra che siano stati scolpiti in una sola notte dalle truppe del re Alfonso V durante l’assedio del 1420. La costa della Sardegna è a una quindicina di chilometri oltre le famigerate  “Bocche di Bonifacio”, note per la pericolosità delle acque disseminate di scogli che hanno mietuto vittime tra i  naviganti di tutte le epoche. Ora aspettano di diventare patrimonio dell’Unesco, insieme all’arcipelago della Maddalena.
 

(Repubblica.it, 30 giugno 2016)