SENEGAL, BAOBAB, PELLICANI E PESCATORI
E' l'Africa che tutti sognano, quella di djembè e schiere di piroghe, banane, stormi di uccelli e tessuti colorati.
Sembra nato per i tramonti, con quel sole rosso che cade nell’Oceano, il fragore incessante delle onde, le palme e i baobab sulla spiaggia. Senegal, è l’Africa che tutti sognano: quella di djembè e schiere di piroghe, banane, stormi di uccelli e tessuti colorati. C’è un po’ di tutto questo anche a Dakar, capitale tentacolare e caotica resa celebre dal rally che arrivava poco fuori città, su Lac Retba, il lago che a mezzogiorno tinge le sue acque di rosa. Per chi viaggia in Senegal con i mezzi pubblici la stazione migliore da cui partire è Pikine, una baraonda di venditori ambulanti e tubi di scappamento fuori dal centro. I bus sono economici, lenti e dai tempi indecifrabili. Molto meglio affidarsi agli Ndiaga Ndiaye, furgoni bianchi che filano come razzi, pieni di mosche e con il tetto carico come la sella di un mulo: una ventina i sedili, almeno dieci in più i passeggeri. La scelta più rapida sono i sept-place, vecchie Peugeot degli anni Ottanta cui hanno aggiunto una fila di sedili nel bagaglio: spesso sono in grado di partire solo con la spinta dei passeggeri stessi, ma vanno dritti alla destinazione senza fermate.
E’ così che in cinque ore si arriva a Saint-Louis, patrimonio dell’Unesco al confine con la Mauritania, monumento alle ambizioni coloniali dei secoli scorsi. Fondata nel 1659, primo insediamento francese in Africa, nel 1895 divenne capitale dell’Africa Occidentale. L’impronta europea si vede ovunque, ma nonostante le Citroen due cavalli e le baguette Saint-Louis continua a essere africana sino al midollo. Basta passeggiare lungo il fiume che separa l’isola dalla lingua di terra sull’Oceano, e restare a osservare: centinaia di piroghe, turbanti, minareti, uomini che lavano i cavalli e capre che pascolano nella spazzatura. Nel villaggio dei pescatori, disordinato ammasso di casette in riva al mare, è meglio non avventurarsi senza una persona del posto perché può essere pericoloso.
Le spiagge migliori del Senegal sono tra Dakar e Mbour, la regina della movida è Saly ma non è detto che piaccia a tutti con i numerosi hotel e ristoranti, i bar dove bere birra e i tanti procacciatori di affari. Per chi cerca tranquillità lo sgarrupato villaggio di Toubab Dialao merita una sosta, anche solo per il meraviglioso affittacamere sulla scogliera dove il rumore dell’Oceano entra nelle stanze. Nella strada che porta a Kaloack il paesaggio cambia completamente, e dai palmeti si passa a una boscaglia tipica del Sahel con baobab, acacie e arbusti. Scoprire la vita dei villaggi non è semplice perché non sono segnati nelle mappe e si raggiungono solo con sentieri sterrati, ma è un’esperienza che vale il viaggio.
E’ possibile farlo a Sossop, un gruppetto di capanne e granai a una ventina di chilometri da Thiadiaye. L’associazione romana “Energia per i diritti umani” accoglie volontari e visitatori in cambio di una piccola donazione. «Possibilmente un animale per il villaggio, accompagno io stesso a comprarli nel mercato qui vicino», spiega Giacomo Simonini di One Love, onlus pistoiese che collabora per alcuni progetti nel villaggio. Se in tutto il Senegal bisogna essere pronti ad adeguarsi, a Sossop ancora di più: si dorme su un materassino coperto dalla zanzariera, l’acqua si prende dal pozzo e le uniche luci sono alimentati dai pannelli solari. A prima vista può sembrare piacevolmente bucolico, ma ci vuole sempre rispetto, ricorda Giacomo. «Il Senegal entra nel cuore dei turisti perché è “genuino”, ma è anche un Paese dove metà della popolazione vive senza elettricità e l’acqua corrente è un lusso».
Proseguendo verso sud con una deviazione a Fatick si raggiunge la città di fiume Foundiougne, avamposto coloniale andato in rovina. La sua fortuna è che la strada per il Gambia è interrotta dal fiume Saloum: le chiatte trasportano le automobili da mattina a sera, ma è una soluzione solo per chi è disposto ad aspettare delle ore e non vuole percorrere la dissestata strada alternativa. Da Foundiougne comincia la zona più spettacolare del Paese, il delta del Sine Saloum, un’area quasi disabitata regno di uccelli e mangrovie. L’unico modo per visitare questa regione senza strade – a meno che non si trovi un passaggio di alcune ore sulle piroghe dirette all’Oceano - è raggiungere N’Dagane, il centro più turistico del delta, e proseguire lungo piste sterrate per alcune decine di chilometri.
Qualsiasi mezzo di trasporto si ferma a Djffer, villaggio sulla punta di una striscia di terra circondata dall’acqua: a ovest l’oceano, a est il fiume. In mezzo una schiera di casette fatiscenti e una spiaggia dove è facile trovare dei piroghieri con cui partire alla scoperta delle mangrovie. L’odore di Djffer è nauseabondo perché in una zona del villaggio ci sono decine di persone che spaccano i molluschi come in una catena di montaggio. Le conchiglie hanno formato una catena di colline alte diversi metri. «L’ultima volta che le abbiamo spianate è stato nel 2002», racconta Diop, pescatore e intagliatore, all’occorrenza piroghiere e “albergatore” per i pochi turisti che si spingono fin qua. «Le conchiglie vecchie, sempre più sbriciolate, sono state usate per rifare le strade. Il mare da un lato e il fiume dall’altro si stanno inghiottendo Djffer».
A cinquanta chilometri di distanza, nella magnifica Joal-Fadiuot, sono sempre le conchiglie a dominare. Joal è sulla terra ferma, Fadiout è un’isoletta di gusci raggiungibile con un ponte pedonale di legno. Il villaggio è spesso citato come esempio di tolleranza religiosa del Senegal, dove il 90 % della popolazione è musulmana e vive senza problemi con la minoranza cristiana. A Fadiout la moschea e la chiesa sono a poca distanza l’una dall’altra, sull’isoletta vicina c’è il cimitero del paese. Le croci cristiane sono accanto alle mezze lune musulmane. Non ci sono abitazioni, né strade: solo pellicani, baobab e conchiglie.
(Repubblica.it, 31 maggio 2016)