BOLIVIA, IL PAESE DOVE LAVORANO I BAMBINI

 

Minatori, braccianti, pulitori di lapidi. Lustrascarpe e venditori. Nel paese sudamericano 850 mila minorenni svolgono le più varie occupazioni, e il sindacato combatte da anni per estendere a tutti il diritto di guadagnarsi da vivere. Ora, nonostante le critiche internazionali, il Parlamento ha deciso: «Anche a 10 anni potranno lavorare».


IN MANO ha tanti palloncini colorati, sembra quasi che giochi. Appena vede un bambino insieme ai genitori lo rincorre, e gliene porge uno; se passa una macchina della polizia si nasconde in mezzo alla folla, per non farsi scoprire. William ha nove anni e abita sulle alture di La Paz, la capitale della Bolivia. Ogni pomeriggio scende nel centro città a vendere palloncini per cinque bolivianos, 50 centesimi di euro: ha cominciato tre anni fa, quando è nato il suo quarto fratello. Lavora in modo illegale perché è ancora piccolo, ma tra qualche mese potrebbe diventare un venditore vero.

Il 2 luglio il Parlamento boliviano ha approvato il nuovo Codice dei minori: i bambini di dieci anni potranno avere un lavoro in proprio, quelli di dodici anni essere lavoratori dipendenti. «Abbiamo modificato il Codice in base alla realtà del paese», ha dichiarato Javier Zavaleta, vicepresidente della Camera dei deputati. L’età minima legale per il lavoro resta 14 anni, ma potranno essere autorizzate eccezioni a condizione che non interferiscano con lo studio.

Esulta l’Unatsbo, l’unione boliviana dei Nats: sono i sindacati di Niños y adolescentes trabajadores, i bambini e adolescenti lavoratori. Rivendicano da anni il diritto al lavoro senza limiti di età. Dopo mesi di proteste, scioperi e qualche scontro con la polizia, hanno ottenuto il primo successo.

La paz, William il venditore di palloncini

La paz, William il venditore di palloncini

La Paz

La Paz

IN BOLIVIA LAVORA 1 MINORE SU 3

In Bolivia vivono dieci milioni e mezzo di persone, circa tre milioni e mezzo hanno meno di 18 anni. Secondo l’Encuesta de trabajo infantil - un’indagine condotta dall’ILO nel 2008, su cui si basa l’operato di Unicef e del Governo - in Bolivia 850 mila bambini e ragazzi tra i 5 e i 17 anni sono coinvolti in attività economiche. Sono in gran parte indios che vivono nelle zone rurali: lavorano in miniera e nelle piantagioni di canna da zucchero, i più fortunati fanno i lustrascarpe o i pulitori di lapidi nei cimiteri.

«Lo Stato non è mai riuscito a tutelarli – denuncia Ana Rouzena Zuazo, responsabile dell’ILO per l’eliminazione del lavoro minorile nel Paese - Circa 800 mila bambini e ragazzi violano la legge sull’età minima per lavorare o fanno mestieri troppo pericolosi». Per difendersi dallo sfruttamento e reclamare i propri diritti i giovani lavoratori si organizzano in associazioni di Nats: sono numerose in tutto il Sudamerica, dove il lavoro minorile è una piaga diffusa.

La Paz - El Alto

La Paz - El Alto

168 MILIONI DI LAVORATORI MINORI NEL MONDO

Con il termine “lavoro minorile” l’ILO - l'International Labour Organization - intende quel lavoro che priva i bambini «della loro infanzia, del loro potenziale e della loro dignità, e che pregiudica il loro sviluppo fisico e morale».

E’ il lavoro compiuto sotto l’età prevista dalla legge, come ha stabilito l'International Labour Organization nel 1973 con la “Convenzione 138 sull’età minima” e nel 1999 con la “Convenzione 182 sulle peggiori forme di lavoro minorile”. Secondo le stime dell’ILO (2012) nel mondo lavorano 168 milioni di minori: l’11% della popolazione minorile mondiale. Più della metà di questi, 85 milioni, fa lavori pericolosi. Il numero complessivo è diminuito di un terzo dal 2000.

La regione del mondo più colpita è l’Asia-Pacifico (con quasi 78 milioni di lavoratori minori) seguita dall’Africa subsahariana (con 59 milioni). In America Latina ci sono 12,5 milioni di lavoratori minori, una cifra superiore alla popolazione del Belgio.

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*  la somma totale è inferiore alla somma del lavoro minorile nel mondo, perché quest'ultima include altre regioni qui non riportate
   (Fonte: ILO "Marking progress against child labour- Global estimates and trends 2000-2012", 2013)

I “NATS”, LA LOTTA PER IL DIRITTO AL LAVORO

In Bolivia i primi gruppi di Nats comparvero alla fine degli anni ’80. Nel 2003 i gruppi delle varie città si sono uniti nell’Unatsbo: gli iscritti superano i cinquemila, ma dato il suo carattere informale è difficile calcolare il reale numero di aderenti.

Felix ha 17 anni e guida il sindacato a El Alto, la città di 700 mila persone sull’altopiano che sovrasta La Paz. Vende ricariche telefoniche e non si ricorda nemmeno quando ha cominciato a lavorare. «Sono cresciuto nel negozio dei miei genitori – racconta - Ho iniziato a dare una mano a tre anni e da allora non ho più smesso».

Ora Felix studia ingegneria all’università e festeggia il diritto dei bambini a lavorare. «Non pregiudicano nessuno – dice – vogliono solo un lavoro dignitoso per crescere e imparare».

La Paz, mercato della stregoneria

La Paz, mercato della stregoneria

La Paz

La Paz

La lotta per avere nuove regole sul lavoro minorile è cominciata nel 2011, con una proposta di legge sostenuta dalle organizzazioni internazionali Save the children e Terre des hommes.

Tra i firmatari c’è Ernesto Copa, all’epoca leader dell’Unatsbo. Adesso studia psicopedagogia all’Università di Potosì, ma la sua infanzia non è stata facile: ha cominciato a lavorare a sette anni nella fabbrica di tubi dove viveva insieme alla famiglia; per pagarsi la scuola ha fatto il lustrascarpe e il voceador, lo strillone che dagli autobus urla ai passanti il luogo di destinazione del mezzo.

«Sarebbe bello immaginare una Bolivia dove i bambini possono studiare e giocare – spiega nel negozio di strumenti musicali dove lavora – ma siamo un paese povero, e il lavoro minorile serve alle famiglie per sopravvivere. Anziché vietarlo, discipliniamolo: solo così elimineremo lo sfruttamento».

Il lavoro in miniera. Illustrazione di Federica Fruhwirth

Il lavoro in miniera. Illustrazione di Federica Fruhwirth

GLI OBBLIGHI INTERNAZIONALI DELLA BOLIVIA

La legge ha trovato l’opposizione di Unicef e ILO, che proprio in Bolivia conduce l’Ipec, un programma internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile. L’Unicef riconosce ai minori il diritto di decidere sulla propria vita quotidiana, distinguendo tra child labour – il lavoro che porta allo sfruttamento, cui è assolutamente contraria – e child work, il lavoro che non ostacola l’istruzione e consente al minore di partecipare all’economia famigliare.

«I ragazzi hanno il diritto di lottare contro lo sfruttamento – spiega Sandra Arellano, responsabile del settore “Proteccion” di Unicef Bolivia. – Ma il lavoro non deve mai essere un danno per la crescita e lo studio. Sono i genitori che devono impegnarsi a garantire la loro sussistenza».

Unicef e Governo operano a stretto contatto con l’ILO, che vigila sull’applicazione delle norme internazionali sul lavoro. La Bolivia ha ratificato sia la Convenzione 138 che la Convenzione 182, impegnandosi così a realizzare quanto da esse previsto. La C138 fissa a 15 anni l’età minima per lavorare, che sale a 18 per i lavori pericolosi e può scendere sino ai 12 per i lavori leggeri nei Paesi meno sviluppati; la C182 indica le peggiori forme di lavoro minorile. L’Italia, che ha ratificato entrambe, ha vietato il lavoro ai minori di 15 anni nel 1967; nel 2006 ha aumentato l’età a 16 anni, in seguito all’innalzamento dell’obbligo scolastico.

Il lavoro in miniera. Illustrazione di Federica Fruhwirth

Il lavoro in miniera. Illustrazione di Federica Fruhwirth

«I BAMBINI DEVONO STUDIARE»

In Bolivia l’età minima è 14 anni e sale a 18 anni per una lista di mestieri dannosi come il minatore, l’operaio edile o il venditore notturno. Nonostante più di 700 mila minori facciano mestieri presenti nell’elenco, l’Unatsbo non lo riconosce poiché fu scelto senza la sua partecipazione.

«Sono discorsi da adulti ricchi che stanno dietro a una scrivania - critica deciso Rodrigo, 15 anni, venditore di sigarette a La Paz e sindacalista dell’Unatsbo. «Lavoriamo per aiutare le famiglie e pagarci la scuola».

Il comportamento del Governo boliviano è stato ambiguo: da una parte le politiche per combattere il lavoro minorile con progetti di educazione, salute e sensibilizzazione; dall’altra la simpatia del presidente Evo Morales, ex baby pastore, verso i Nats.

«L’Unatsbo guarda all’immediato, la politica al futuro – precisava sino a poche settimane fa Lidia Veramendi, direttore dell’unità “diritti fondamentali” nel Ministero del lavoro - I bambini devono studiare, solo così si può cambiare il Paese».

Potosì, venditrice di yogurt

Potosì, venditrice di yogurt

DI MATTINA A SCUOLA. POI A PULIRE LAPIDI.

Il rapporto tra lavoro e istruzione in Bolivia preoccupa molto Unicef e ILO. Gli studenti che lavorano sono stanchi, disattenti e non hanno tempo per fare i compiti, a volte sin dalla scuola elementare. Come Raùl dell’Isla del Sol, sul Lago Titicaca, che ha 5 anni e pascola un cucciolo di alpaca più alto di lui. Oppure Richard, 8 anni, che ogni pomeriggio prende la sua scatola di legno dalustrabotas e lucida scarpe nella piazza principale di Sucre.

Potosì, la città più alta del mondo, a 4100 metri sul livello del mare, è la città simbolo del lavoro minorile in Bolivia. I bambini minatori offuscano il suo passato glorioso: quando nel Seicento inondava l’Europa d'argento, si racconta che anche i ferri di cavallo fossero di metallo prezioso. Ma con l’esaurirsi dei filoni la città perse ricchezza e prestigio, sino a diventare una delle più povere della Bolivia.

Potosì, il cimitero

Potosì, il cimitero

Johanna ha 16 anni ed è la segretaria generale del Connatsop, l’associazione dei Nats di Potosì aderente all’Unatsbo. Lavora da quando era in quarta elementare. «Vendevo gelatina e hamburger al mercato – spiega mentre porge i giornali alla gente per strada – Sono la maggiore di cinque sorelle, non avevo scelta». Katy, 10 anni, ha un banchetto di fave tostate poco distante. Moses ha 8 anni e passa le mattine a vendere calamite ai turisti. Ha cominciato un anno fa, quando il papà minatore è morto in un incidente.

Lavorare al cimitero di Potosì è tra i mestieri più ambiti. C’è chi trasporta i secchi d’acqua per innaffiare i fiori e chi pulisce le lapidi. I piccoli lavoratori hanno stabilito un tariffario in base alla sporcizia del marmo. «Così non ci facciamo fregare» – sorride orgoglioso Armando, 13 anni – I grandi provano sempre a pagarci meno del dovuto».

«E’ un problema che ha radici culturali - dice Luz Rivera Daza, assistente sociale della Caritas che aiuta i Nats della città – Tanti bambini lavorano anche se non serve loro per sopravvivere. Agli adulti sembra normale e li appoggiano: molti si rivolgono di proposito ai ragazzini perché è un modo per risparmiare.

Potosì, il cimitero

Potosì, il cimitero

«LA PRIMA VOLTA IN MINIERA? A 9 ANNI».

Il lavoro dei minori in Bolivia è così diffuso da essere tollerato dal Governo, che concentra la battaglia contro i mestieri pericolosi e ispeziona i luoghi più a rischio, come i campi di canna da zucchero o le miniere. Nella miniera del Cerro Rico di Potosì lavorano 15 mila persone, molte arrivano dalle zone più povere della Bolivia per guadagnare qualcosa. La speranza di vita per chi vi entra è di 10 o 15 anni: se non si muore per un incidente arrivano le malattie polmonari.

«Abbiamo trovato poco più di 50 minori in tre mesi, solo uno aveva meno di 14 anni», spiega Gonzalo Gamarra Cortez, subcommissario del Ministero del lavoro a Potosì. «Ma non sappiamo quanti entrino nella miniera». L’impresa sarebbe impossibile: il subcommissario copre tutta la regione insieme a un collega, per raggiungere le bocche del Cerro Rico deve prendere due autobus che viaggiano solo di mattina. Ritorna in città a piedi, camminando per chilometri.

Grover, minatore di 14 anni

Grover, minatore di 14 anni

Secondo il capo minatore Oscar detto “El conejo”, ogni anno entrano nella miniera di Potosì più di tremila ragazzini. «Tutti hanno diritto a lavorare perché tutti devono mangiare – afferma con una tranquillità quasi convincente – Il lavoro in miniera non si ferma mai, si scava di mattina, di giorno di notte. Sotto terra l'ora non fa differenza. Noi accogliamo ragazzini di 12 anni e anziani di 70. Ma è meglio venire a lavorare qui da anziani, perché chi comincia da ragazzino non invecchierà mai».

«Sono cresciuto lavorando al Cerro Rico», racconta Alvaro Laime Ruiloba, 18 anni. La sua prima volta nella cava è stata a nove anni, per cercare pietre brillanti da vendere ai turisti. A 11 anni ha cominciato a caricare i vagoni e a 14 e fare le esplosioni con la dinamite. «E’ un lavoro brutto e il mio fratellino non dovrà mai farlo. Ma ho bisogno di soldi. Per lavare le automobili mi danno 90 bolivianos al giorno (9 euro ndr). Quando vado in miniera prendo 100, a volte 120 bolivianos».

Potosì, il minatore Oscar "El Conejo"

Potosì, il minatore Oscar "El Conejo"

“ROBERTITO”, LA SCUOLA NELLA CAVA

Sul fianco della montagna, a 4326 metri d’altezza, c’è la scuola “Robertito”. E’ nata nel 2007 grazie alla ong svizzera Voix libres, che aiuta i figli dei guardiani delle cave e dei minatori. In tutto il Cerro Rico vivono 200 famiglie, la scuola ne assiste 40: dà ai bambini la colazione, il pranzo e il materiale scolastico. Ma soprattutto un posto dove stare durante il giorno, visto che non esiste un villaggio.

La Robertito è in uno slargo fangoso con le rotaie che portano ai tunnel, tra i minatori con la bocca gonfia di foglie di coca e i maiali che mangiano la spazzatura. «Alcuni studenti sabato e domenica lavorano sotto terra – spiega il preside Donato Ortega Mendoza – Non riusciamo a impedirlo. Qui esiste solo la miniera».

Marco ha 13 anni e durante l’intervallo gioca a pallone con i compagni. E’ nato a Santa Cruz, nella Bolivia tropicale. Due anni fa ha cominciato a lavorare in miniera per caricare i vagoni di minerali. «Mi piace, ma non voglio farlo da grande», dice sorridendo. «So che è pericoloso». Ha un maglioncino blu e la frangetta sulla fronte, la pelle scura degli indios dell’Amazzonia - Non perdo la scuola per lavorare – assicura, sincero – in miniera lavoro solo durante le vacanze estive».