C’è un rito silenzioso che viene celebrato ogni domenica nelle periferie delle città italiane, un viaggio che dura due giorni e attraversa tre frontiere. È la rotta delle badanti. Quando un anno fa è esplosa la guerra in Ucraina, due giornalisti del Secolo XIX di Genova sono partiti per capire cosa stesse succedendo. Marco Grasso, cronista di giudiziaria, e Davide Pambianchi, fotoreporter, hanno scelto di raccontare la crisi attraverso le tante donne ucraine che in Italia fanno lavori difficili e umili. Sono saliti con loro sui bus che ogni settimana le riportano a casa, per brevi soggiorni, e sono partiti per Kiev. Ne è nato un documentario, Lost in Revolution.
Le corse regolari dei bus dall’Italia, organizzate da Eurolines, sono ogni due domeniche. Poi ci sono i Ducato a sei posti, meno comodi ma più veloci. Dall’Italia si passa in Austria, poi in Ungheria e infine in Ucraina. Raissa ha 60 anni e ne ha passati sei a Mantova prima di trovare impiego in Liguria. «Quando guardo la tv mi sento male – spiega Raissa nel documentario - Sono due mesi che non penso ad altro. Qualche tempo fa ho preso coraggio e ho deciso. Il mio posto adesso è là, accanto ai miei cari». Raissa viene da Khmelnitsky, centro agricolo da 300mila abitanti della regione della Podolia, nell’ovest del Paese, la zona da cui vengono quasi tutte le migranti impiegate nell’assistenza agli anziani in Italia.
A raccontare la storia dell’Ucraina di oggi in Lost in Revolution ci sono Olga, ingegnere che lavora a Milano come badante e ma non può ritornare a casa perché clandestina; Liubov, studentessa nell’ovest dell’Ucraina; Valentin, poliziotto che stanco di vivere in un Paese corrotto si è unito alla rivoluzione; Kyrilo, un compositore e pianista di strada che dopo l’inizio delle sommosse ha iniziato a vivere nei palazzi occupati dalle milizie ed è diventato uno dei simboli di Euromaidan. Olga, Liubov, Valentin, Kyrilo. Persone alla ricerca di una felicità che non ha niente a che fare con Merkel, o Putin, o Poroshenko. E ci ricordano che ad Est come a Sud della nostra Italia ci sono persone pronte a morire, per guadagnarsi un pezzo di quell’ Europa che per ora hanno solo sognato.
(anche su The Post Internazionale)