Belli e abbandonati i borghi della Liguria

Bussana Vecchia diventò un borgo fantasma dopo il terremoto del 1887, il quarto in nemmeno cinquant’anni. Balestrino, paesino del savonese abitato dal Paleolitico, subì lo stesso destino negli anni Cinquanta per colpa delle frane. Quando non sono state le calamità naturali ci ha pensato il desiderio di benessere a spopolare i villaggi dei monti liguri: alcuni sono già stati inghiottiti dai boschi, altri resistono con una manciata di abitanti. “I borghi antichi abbandonati” è un Progetto di ricerca di Ateneo finanziato dall’Università di Genova che terminerà a ottobre: tra i risultati c’è stata la pubblicazione del volume “I borghi antichi abbandonati  – Patrimonio da riscoprire e mettere in sicurezza” (ed. Franco Angeli).

Bussana Vecchia, foto di Wikipedia

Bussana Vecchia, foto di Wikipedia

«Lo spopolamento riguarda tutta l’Europa e in particolare l’Italia, dove si stimano cinquemila borghi fantasma», spiega l’autrice Francesca Pirlone, ricercatrice del Dicca (Dipartimento di Ingegneria Civile, Chimica e Ambientale) e docente di Pianificazione urbanistica e territoriale. «La Liguria è una delle regioni italiane più colpite dal fenomeno. Alle cause storiche e naturali si aggiungono quelle di tipo logistico, sociale, economico e culturale». Il team di pianificazione territoriale del Dicca, composto da Francesca Pirlone, Ilenia Spadaro e Selena Candia – supportato da altri ricercatori di scienze ambientali -  ha studiato i tanti casi della Liguria.

Nel savonese, a Calice Ligure, il borgo di Cravarezza fu abbandonato dopo la chiusura della vicina miniera di grafite; nello spezzino lo spopolamento è avvenuto soprattutto in Val di Vara, con gli abitanti attirati dall’industrializzazione degli anni Settanta. «Nel territorio genovese ha interessato in particolare la Val Fontanabuona, dove è andato in crisi il settore dell’ardesia,  la Valle Sturla, la Val Graveglia, la Val Pentemina», spiega Francesca Pirlone. «Molti borghi erano stati costruiti lungo le antiche vie del sale, ora tagliate fuori dal sistema viario. Inoltre nel Medioevo più un borgo era difficilmente raggiungibile più era sicuro».

Canate di Marsiglia

Canate di Marsiglia

Dal dopoguerra è emersa la differenza con la qualità di vita offerta dalle città, ricche di servizi e trasporti e vicine ai luoghi di lavoro e di studio. I paesi che per primi sono stati collegati alla nuova rete stradale sono sopravvissuti anche grazie all’arrivo di immigrati attirati dal minor costo degli affitti: in provincia di Genova ne sono un esempio Mezzanego, Borzonasca e Favale di Malvaro. Canate di Marsiglia nel comune di Davagna è il caso opposto. A fine Ottocento i 250 abitanti si convertirono ai lavori portuali ma negli anni del Boom il paese fu abbandonato perché la prima strada carrabile distava (e dista tuttora) un’ora di cammino nel bosco.

Pentema, foto di Davide Papalini (da Wikipedia). Licenza CC BY-SA 3.0

Pentema, foto di Davide Papalini (da Wikipedia). Licenza CC BY-SA 3.0

Nelle valli dell’Antola la vocazione agricola si è persa quasi ovunque e i borghi deserti si contano a decine. La Val Pentemina, tra Montoggio e Torriglia, sconta strade sterrate, numerose frane e in alcuni casi l’assenza di illuminazione pubblica. Nella Valbrevenna l’80% dei 750 abitanti vive nella bassa valle e ci sono una dozzina di località con meno di dieci residenti; la Val Vobbia ha meno di 500 abitanti e soffre le carenze di viabilità e collegamenti pubblici. «Alcuni borghi tornano a vivere di estate perché le abitazioni contadine diventano seconde case», spiega Francesca Pirlone. «Altri paesi riescono a sopravvivere grazie a particolare iniziative turistiche». E’ il caso di Pentema, popolato da una decina di anziani ma con un presepe che attira turisti da tutta la regione. Nell’imperiese è celebre il caso di Bussana Vecchia, diventato centro di richiamo per gli artisti.  

Partendo da casi virtuosi a livello internazionale – come gli ecovillaggi nei Pirenei spagnoli e il piano per il ripopolamento rurale in Irlanda – la ricerca di Francesca Pirlone propone diverse soluzioni. Innanzitutto la creazione di un Atlante dei borghi abbandonati o in via di abbandono, per mappare un fenomeno di cui si hanno solo stime, analizzarne i motivi per elaborare dei piani di recupero. «In alcuni casi si tratta di ricucire le vie di mobilità e di traporto, in altri di mettere in sicurezza il territorio. A quel punto si può studiare la funzione da dare ai villaggi abbandonati». Tra le esperienze vincenti c’è il turismo degli alberghi “diffusi” o la trasformazione del borgo in fattoria sociale, con un’agricoltura che coinvolge persone a rischio di esclusione come portatori di handicap, ex detenuti o anziani. Tra le strategie possibili ci sono l’utilizzo dei borghi come set cinematografici e gallerie d’arte all’aperto. In Italia si è già assistito alla vendita dei paesi fantasma a cifre simboliche per favorire l’intervento dei privati.  «Per un recupero concreto è però necessario un rapporto efficace tra pubblico e privato», precisa Francesca Pirlone. «Le sinergie sperimentate in alcuni centri storici italiani si sono rivelate vincenti».