Le tre capitali più alte del mondo. Lhasa permettendo.

Al di qua dell’Atlantico, a quelle altezze, si trovano solo rocce e nevi perenni, con un po’ di fortuna stambecchi e stelle alpine. Dall’altro lato dell’oceano, tra le montagne del Sudamerica, condor e lama hanno fatto spazio ad aeroporti, grattacieli, autostrade, università. E palazzi del governo.  Le tre capitali più alte del mondo sono tutte lì, una dopo l’altra, nei primi quattromila chilometri di Ande. Affascinanti, vibranti, affollate. Tutte spagnoleggianti, con un punto in comune: sono alte, anzi, altissime.

Secondo l’Enciclopedia Britannica Bogotà, la capitale della Colombia, è a 2640 metri d’altezza; Quito, in Ecuador, è a 2850. E La Paz, in Bolivia, batte tutti con la sua forma disordinata che da 3250 metri sale sino a 4100. Dall’altra parte del mondo, ai piedi dell’Himalaya, la città di Lhasa si ferma a 3650 metri. E’ la “capitale” della regione autonoma del Tibet: ma considerato il non riconoscimento del Tibet come Stato indipendente (fa parte della Cina dal 1950), Lhasa non entra a far parte di questa classifica.

La Paz, 3650 metri.

La Paz, 3650 metri.

La più facile ed economica da raggiungere per cominciare un tour d’altissima quota è quindi la terza in classifica, Bogotà. Il villaggio svizzero Juf, il più alto d’Europa, si vanta dei suoi 2126 metri popolati tutto l’anno da una trentina di persone. Ma meglio non far troppo i gradassi con i colombiani, visto che a 2640 metri sul livello del mare - in una conca tra le montagne dove sono stipati otto milioni di abitanti – c’è la loro capitale. Una metropoli moderna, frenetica, rumorosa, una distesa di case rosso mattone e grattacieli avvolti dall’inquinamento. Alla domanda d’obbligo sulla Colombia, «Ma è sicura?», l’ente del turismo risponde sagacemente: «L’unico rischio è di volerci restare». Versione molto ottimista, ma negli ultimi tempi Bogotà ha fatto davvero passi da gigante sul tema delle sicurezza. Il turismo è in grande ascesa e la città è diventata tra le più dinamiche del Sudamerica dal punto di vista culturale, tanto da essere considerata nel momento d’oro degli ultimi trent’anni.

Bogotà, la Candelaria

Bogotà, la Candelaria

La zona della Candelaria, il barrio coloniale, in pieno centro, è deliziosamente vivace con il suo dedalo di viuzze brulicanti di facoltà universitarie, gallerie d’arte, ristorantini e librerie; la calle 11 è il palcoscenico per i due eroi nazionali contemporanei grazie al museo Fernando Botero e il Centro culturale Gabriel Garcia Marquez. Ma appena cala il buio il quartiere si svuota e non è molto raccomandabile: meglio prendere un taxi e andare nella Zona Rosa, nella Bogotà settentrionale, la parte di città che trabocca di negozi, catene di fast food e hotel eleganti. Il simbolo della città è il Cerro de Monserrate (3152 metri), da raggiungere in funicolare per una vista mozzafiato di Bogotà e della sua tentacolare struttura a scacchiera, con le case che si perdono sin dove arriva lo sguardo.

Bogotà, 2640 metri

A poco più di mille chilometri di Panamericana, in Ecuador, c’è la seconda capitale più alta del mondo, Quito. Ha “solo” un milione e seicentomila abitanti, ma è ancora più alta con i suoi 2850 metri (altezza dove in Europa si fermano pure i camosci). L’aria di montagna si sente più forte - sarà per i prati verdi e i picchi vulcanici che la circondano - ma il centro è davvero caotico con suv che sorpassano automobili americane degli anni ’80 e autobus scassati che sbuffano fumo nero.  Quito era un’importante città incaica e quando nel 1526 arrivarono gli spagnoli - piuttosto che cederla ai conquistatori  - il generale inca Ruminahui la fece radere al suolo.

Quito, 2850 metri

Quito, 2850 metri

Gli spagnoli la ricostruirono e non badarono a spese visto che la città vecchia, patrimonio dell’umanità dell’Unesco, è un capolavoro di arte coloniale. La collina che domina il centro storico è detta El Panecillo (“la piccola pagnotta”) e sul suo culmine sorge La Virgen de Quito, una Madonna con una corona di stelle e ali d’aquila in piedi su un drago incatenato. La vista più spettacolare di Quito è però dai fianchi del Vulcano Pichincha, che si scala in funivia sino a 4100 metri prima di proseguire a piedi o a cavallo. A mezz’ora dalla città c’è invece “La Mitad du mundo”, il luogo a cui l’Ecuador deve il suo nome. Una linea gialla segna la separazione dei due emisferi: nel 1736 il matematico e geografo  francese Charles-Marie de La Condamine scoprì che l'Equatore passava proprio in questo punto della Terra.

Cusco, 3400 metri.

Cusco, 3400 metri.

Sulla strada per la Bolivia c’è il Perù, che ha la capitale Lima al livello del mare e l’ex capitale dell’Impero Inca, Cusco, a 3400 metri d’altitudine. Cusco è meravigliosa, con tante chiese spagnole che si perdono in un mare di case sormontate da cippi rossi, ed è un’ottima tappa per acclimatarsi in attesa della salita alla capitale più alta del mondo.  La Paz è infatti a due ore dal confine peruviano con i suoi grattacieli che svettano in mezzo al canyon in cui è costruita, ottocentomila abitanti, un’atmosfera frizzante, un turbinio di strombazzate di clacson, murales, venditori di popcorn e una distesa di edifici in mattoni abbarbicati sulle pareti rocciose che la circondano. A questa quota il cielo è blu come il mare, macchiato da nuvolette spumose che corrono veloci spinte del vento.  Nel centro della città siamo a 3650 metri d’altezza: la Marmolada, la regina delle Dolomiti, si ferma trecento metri più in basso.

La Paz, 3650 metri

La Paz, 3650 metri

La Paz

La Paz

La Bolivia è un paese in fortissima crescita economica ma mantiene un forte legame con le sue tradizioni. Tra la folla nelle strade spuntano le bombette delle cholitas, le donne quechua o aymara che vestono in modo tipico con gonne colorate e capelli raccolti in due trecce, mentre nel mercato della stregoneria i feti di lama essicati penzolano tra flauti di pan e berretti di lana d’alpaca.  Le favelas che risalgono il canyon arrivano sino a 4000 metri e si fondono con El Alto, la città satellite che sormonta La Paz. Considerata capitale degli aymara, la popolazione india che vive nei dintorni del Lago Titicaca, sino al 1988 faceva parte di La Paz, ora ne ha addirittura superato la popolazione. Non è molto sicura ma è una tappa obbligata per chi visita la Bolivia in autobus, e offre un altro record da smarcare per chi vorrà farlo in aereo:  con i suoi 4061 metri, l’”Aeropuerto El Alto” è l’aeroporto internazionale più alto del mondo.

(Repubblica.it, 27 luglio 2015)

Il giro del mondo a 80 all'ora: l'impresa di Luca (e la sua vespa gialla)

L’idea gli venne durante un’estate vagabonda in Spagna, quando in sella a una Vespa tinta giallo cromo arrivò in fondo all’Andalusia, a Tarifa. Era il 2003 e c’era l’Atlantico a sbarrargli la via, ma Luca giurò a se stesso che un giorno neppure gli oceani lo avrebbero fermato. Undici anni dopo ha realizzato il suo sogno di sentieri polverosi e mani sporche di grasso, minareti, deserti e giungle tropicali. Con un’altra Vespa gialla a portarlo fin dove arriva la strada.

La partenza da Genova

La partenza da Genova

Luca Capocchiano ha 37 anni ed è un ingegnere meccanico di Genova, con un passato di successo nel mondo del Campionato Superbike – con Ducati e Honda – e un lavoro alla Ferrari, a Maranello. A ottobre dello scorso anno Luca è partito per il giro del mondo da Genova, direzione est, con l’idea di ritornare nello stesso punto dopo 40 mila chilometri e 28 Paesi, da ovest. «Perché proprio una Vespa? - spiega Luca da Bangkok, in Thailandia - Perché ha le qualità più importanti per un viaggio così lungo: l’affidabilità, la facilità di manutenzione e l’interesse dei ladri. In Europa tutti conoscono il valore di una Vespa d’epoca: altrove una Vespa d’epoca è solo una moto vecchia».

Foto di Luca Capocchiano

Foto di Luca Capocchiano

La sera del 5 ottobre Luca ha lasciato Genova con una 125 TS del 1976 dipinta di giallo Positano, un po’ di bagagli, qualche pezzo di ricambio, una tanica di benzina. E ha cominciato a raccontare il suo viaggio sul blog ilgirodelmondoa80allora.com.(dove è anche possibile donare a Luca 10 euro per un pieno). Prima fermata, Balcani. «Il Montenegro mi ha accolto benissimo – racconta divertito - Il poliziotto alla dogana che controllava stancamente i miei documenti si è illuminato leggendo la mia città natale. ”Ah Genova, Zampdoria, Mihajlović!”. E anche il proprietario del primo hotel in Albania è stato molto gentile. Mentre caricavo i bagagli, si è avvicinato e mi ha detto: “Se dormi a Tirana, portati la Vespa nel letto. Nei paesi piccoli te la rubano lo stesso, ma lì puoi ritrovarla pagando un riscatto al capo villaggio. Se te la rubano a Tirana invece sparisce per sempre”. Nei sei mesi di viaggio la Vespa ha sorpassato i ladri di Medio Oriente e Asia, ma non ha retto la traversata dei gelidi altopiani turchi.

Kurdistan turco (foto di Luca Capocchiano)

Kurdistan turco (foto di Luca Capocchiano)

Dopo una notte di neve tra le montagne del Kurdistan, a novembre, arriva infatti il primo grande intoppo. «Mi fermo a fare una foto e la moto si spegne. Riparte a fatica. Poi si spegne ancora. Ferita a morte mi ha portato in salvo fino in città, permettendomi di trovare un alloggio dove poterla controllare, come un vero cavallo da battaglia al termine dello scontro fatale». In attesa dei pezzi di ricambio Luca rimane fermo per giorni a Dogubayazit, polverosa città di confine con l’Iran. Grazie al forum di “Vespaonline.com” riesce a smontare la moto nel sottoscala dell’albergo e a riparare il danno, ormai ospite fisso di due meccanici che aggiustano le auto della loro officina a suon di mazzate.

Dogubayazit (foto di Luca Capocchiano)

Dogubayazit (foto di Luca Capocchiano)

«Al confine i poliziotti turchi erano così stupiti del mio mezzo che mi han fatto superare la lunga fila di camion, addirittura fischiando divertiti ai colleghi iraniani di là dal cancello». Dopo oltre 2500 km di discesa dalle fredde montagne del nord  - e un incontro a Isfahan  con due ragazzi napoletani diretti in Australia con una BMW – Luca arriva a Bandar Abbas, nel Golfo persico,  e dorme a casa di Omid, un ragazzo contattato tramite Couchsurfing. «Le stanze erano senza letti, armadi, neppure un comodino. Omid dormiva per terra su un piumone, non ho avuto il coraggio di chiedergli perché. Oltre a Luca ospitava Bjorne, una specie di vichingo con la faccia buona, un ragazzone tedesco partito da Amburgo e arrivato fino a Trazbon in Turchia a piedi, seguendo i binari del treno».  

Isfahan, Iran (foto di Luca Capocchiano)

Isfahan, Iran (foto di Luca Capocchiano)

Luca naviga quindi sino agli Emirati Arabi per raggiungere l’Oman, dove sembrava ci fosse una nave per l’India.  Per due giorni è adottato da un gruppo di biker: nel frattempo c’è una gara automobilistica di “drifting” (quelle dove le macchine derapano a ogni curva), fa un giro in pista con la Vespa, è premiato insieme ai vincitori e finisce sul giornale locale.

Emirati Arabi Uniti (foto di Luca Capocchiano)

Emirati Arabi Uniti (foto di Luca Capocchiano)

Ma la spedizione della Vespa dall’Oman costa troppo cara e così Luca torna a Dubai. Dove comincia il suo calvario: resta tre giorni in aeroporto in attesa di una partenza che gli assicuravano imminente, con la Vespa presa in ostaggio dagli spedizionieri e i prezzi già carissimi i lievitati a dismisura. Riesce comunque a spedire la moto a Mumbai e a risalire l’India sino al Nepal - attraverso zone remote e selvagge, terre di elefanti e grigliate a base di topo e cane – per poi ridiscendere verso il Myanmar. «Un Paese che ha aperto le frontiere via terra solamente da un anno e in cui la mia Vespa è probabilmente la prima a metterci le ruote».

India (foto di Luca Capocchiano)

India (foto di Luca Capocchiano)

Dopo la visita della Cambogia e delle meraviglie di Angkor, ecco la sosta in Thailandia. «Avevo assolutamente bisogno di un centro di assistenza Piaggio per riparare un po’ di problemi che mi trascinavo dietro da tempo». Dopo il restyling è partito per Singapore e ha imbarcato la moto su una nave container per Darwin, nel nord dell’Australia, dove è arrivato a inizio maggio. Dopo 5mila chilometri via terra sino a Melbourne  volerà oltre il Pacifico, a Santiago del Cile, punterà verso la terra del Fuego e risalirà l’Argentina sino al Brasile. Si imbarcherà per il Senegal e seguirà il percorso della vecchia Parigi Dakar, sino in Italia.

Australia (foto di Luca Capocchiano)

Australia (foto di Luca Capocchiano)

Ad aspettarlo ci sarà la fidanzata, che sul blog chiama ermeticamente “Zucchero Filato”. «Non si può dire propriamente felice della mia decisione – confessa Luca - ma nonostante non approvi capisce che era il mio sogno».  Zucchero Filato dovrà aspettare un po’ più del previsto, poiché la data del ritorno di Luca a Genova – atteso a giugno – slitterà a fine estate. La speranza di un fidanzato preciso come il celebre Phileas Fogg, che nel romanzo di Verne girò intorno al mondo in 80 giorni, è ormai un miraggio. Ma di sicuro potrà abbracciare un fidanzato bello abbronzato, fresco della traversata di Mauritania e Marocco in pieno agosto.

(anche su Repubblica.it)