Le tre capitali più alte del mondo. Lhasa permettendo.

Al di qua dell’Atlantico, a quelle altezze, si trovano solo rocce e nevi perenni, con un po’ di fortuna stambecchi e stelle alpine. Dall’altro lato dell’oceano, tra le montagne del Sudamerica, condor e lama hanno fatto spazio ad aeroporti, grattacieli, autostrade, università. E palazzi del governo.  Le tre capitali più alte del mondo sono tutte lì, una dopo l’altra, nei primi quattromila chilometri di Ande. Affascinanti, vibranti, affollate. Tutte spagnoleggianti, con un punto in comune: sono alte, anzi, altissime.

Secondo l’Enciclopedia Britannica Bogotà, la capitale della Colombia, è a 2640 metri d’altezza; Quito, in Ecuador, è a 2850. E La Paz, in Bolivia, batte tutti con la sua forma disordinata che da 3250 metri sale sino a 4100. Dall’altra parte del mondo, ai piedi dell’Himalaya, la città di Lhasa si ferma a 3650 metri. E’ la “capitale” della regione autonoma del Tibet: ma considerato il non riconoscimento del Tibet come Stato indipendente (fa parte della Cina dal 1950), Lhasa non entra a far parte di questa classifica.

La Paz, 3650 metri.

La Paz, 3650 metri.

La più facile ed economica da raggiungere per cominciare un tour d’altissima quota è quindi la terza in classifica, Bogotà. Il villaggio svizzero Juf, il più alto d’Europa, si vanta dei suoi 2126 metri popolati tutto l’anno da una trentina di persone. Ma meglio non far troppo i gradassi con i colombiani, visto che a 2640 metri sul livello del mare - in una conca tra le montagne dove sono stipati otto milioni di abitanti – c’è la loro capitale. Una metropoli moderna, frenetica, rumorosa, una distesa di case rosso mattone e grattacieli avvolti dall’inquinamento. Alla domanda d’obbligo sulla Colombia, «Ma è sicura?», l’ente del turismo risponde sagacemente: «L’unico rischio è di volerci restare». Versione molto ottimista, ma negli ultimi tempi Bogotà ha fatto davvero passi da gigante sul tema delle sicurezza. Il turismo è in grande ascesa e la città è diventata tra le più dinamiche del Sudamerica dal punto di vista culturale, tanto da essere considerata nel momento d’oro degli ultimi trent’anni.

Bogotà, la Candelaria

Bogotà, la Candelaria

La zona della Candelaria, il barrio coloniale, in pieno centro, è deliziosamente vivace con il suo dedalo di viuzze brulicanti di facoltà universitarie, gallerie d’arte, ristorantini e librerie; la calle 11 è il palcoscenico per i due eroi nazionali contemporanei grazie al museo Fernando Botero e il Centro culturale Gabriel Garcia Marquez. Ma appena cala il buio il quartiere si svuota e non è molto raccomandabile: meglio prendere un taxi e andare nella Zona Rosa, nella Bogotà settentrionale, la parte di città che trabocca di negozi, catene di fast food e hotel eleganti. Il simbolo della città è il Cerro de Monserrate (3152 metri), da raggiungere in funicolare per una vista mozzafiato di Bogotà e della sua tentacolare struttura a scacchiera, con le case che si perdono sin dove arriva lo sguardo.

Bogotà, 2640 metri

A poco più di mille chilometri di Panamericana, in Ecuador, c’è la seconda capitale più alta del mondo, Quito. Ha “solo” un milione e seicentomila abitanti, ma è ancora più alta con i suoi 2850 metri (altezza dove in Europa si fermano pure i camosci). L’aria di montagna si sente più forte - sarà per i prati verdi e i picchi vulcanici che la circondano - ma il centro è davvero caotico con suv che sorpassano automobili americane degli anni ’80 e autobus scassati che sbuffano fumo nero.  Quito era un’importante città incaica e quando nel 1526 arrivarono gli spagnoli - piuttosto che cederla ai conquistatori  - il generale inca Ruminahui la fece radere al suolo.

Quito, 2850 metri

Quito, 2850 metri

Gli spagnoli la ricostruirono e non badarono a spese visto che la città vecchia, patrimonio dell’umanità dell’Unesco, è un capolavoro di arte coloniale. La collina che domina il centro storico è detta El Panecillo (“la piccola pagnotta”) e sul suo culmine sorge La Virgen de Quito, una Madonna con una corona di stelle e ali d’aquila in piedi su un drago incatenato. La vista più spettacolare di Quito è però dai fianchi del Vulcano Pichincha, che si scala in funivia sino a 4100 metri prima di proseguire a piedi o a cavallo. A mezz’ora dalla città c’è invece “La Mitad du mundo”, il luogo a cui l’Ecuador deve il suo nome. Una linea gialla segna la separazione dei due emisferi: nel 1736 il matematico e geografo  francese Charles-Marie de La Condamine scoprì che l'Equatore passava proprio in questo punto della Terra.

Cusco, 3400 metri.

Cusco, 3400 metri.

Sulla strada per la Bolivia c’è il Perù, che ha la capitale Lima al livello del mare e l’ex capitale dell’Impero Inca, Cusco, a 3400 metri d’altitudine. Cusco è meravigliosa, con tante chiese spagnole che si perdono in un mare di case sormontate da cippi rossi, ed è un’ottima tappa per acclimatarsi in attesa della salita alla capitale più alta del mondo.  La Paz è infatti a due ore dal confine peruviano con i suoi grattacieli che svettano in mezzo al canyon in cui è costruita, ottocentomila abitanti, un’atmosfera frizzante, un turbinio di strombazzate di clacson, murales, venditori di popcorn e una distesa di edifici in mattoni abbarbicati sulle pareti rocciose che la circondano. A questa quota il cielo è blu come il mare, macchiato da nuvolette spumose che corrono veloci spinte del vento.  Nel centro della città siamo a 3650 metri d’altezza: la Marmolada, la regina delle Dolomiti, si ferma trecento metri più in basso.

La Paz, 3650 metri

La Paz, 3650 metri

La Paz

La Paz

La Bolivia è un paese in fortissima crescita economica ma mantiene un forte legame con le sue tradizioni. Tra la folla nelle strade spuntano le bombette delle cholitas, le donne quechua o aymara che vestono in modo tipico con gonne colorate e capelli raccolti in due trecce, mentre nel mercato della stregoneria i feti di lama essicati penzolano tra flauti di pan e berretti di lana d’alpaca.  Le favelas che risalgono il canyon arrivano sino a 4000 metri e si fondono con El Alto, la città satellite che sormonta La Paz. Considerata capitale degli aymara, la popolazione india che vive nei dintorni del Lago Titicaca, sino al 1988 faceva parte di La Paz, ora ne ha addirittura superato la popolazione. Non è molto sicura ma è una tappa obbligata per chi visita la Bolivia in autobus, e offre un altro record da smarcare per chi vorrà farlo in aereo:  con i suoi 4061 metri, l’”Aeropuerto El Alto” è l’aeroporto internazionale più alto del mondo.

(Repubblica.it, 27 luglio 2015)

Wiki Loves Monuments: a caccia di tremila bellezze

La lista dei monumenti è on line, bastano una sbirciata e una macchina fotografica per illustrare l’enciclopedia più grande del mondo. Wikipedia rifà il look alle pagine delle bellezze italiane  e chiede aiuto ai lettori fotografi: professionisti o dilettanti poco importa perché  il concorso fotografico Wiki Loves Monuments Italia è aperto a tutti, senza limiti.

Genova

Genova

Nato nel 2010 in Olanda per dare una pagina di Wikipedia a ogni mulino, il concorso Wiki Loves Monuments è diventato in pochi anni un evento planetario ed entrato nel Guinnes dei primati come il più grande concorso fotografico del mondo. All’edizione del 2012 hanno partecipato 32 nazioni da tutti i continenti con 360 mila immagini. Nel 2013 gli Stati sono saliti a 52, dal Camerun al Venezuela, mentre nell’edizione del 2014 ci sono state numerose new entry africane e asiatiche.

Lago Chiaretto, intorno al Monviso

Lago Chiaretto, intorno al Monviso

Wiki Loves Monuments Italia è coordinato da Wikimedia Italia, l’associazione italiana corrispondente di Wikimedia Foundation, l’ente californiano che gestisce Wikipedia.  «Il concorso è un modo per diffondere il principio della cultura libera», spiega Cristian Cenci, referente italiano del progetto.  «Ma nel nostro Paese è anche un’occasione per portare avanti una battaglia legislativa a favore della cosiddetta “libertà di panorama”». Il Codice Urbani del 2004 sancisce infatti l'impossibilità di fotografare monumenti e diffonderne le immagini senza un’autorizzazione delle istituzioni. «Addirittura le foto del Colosseo che postiamo su Facebook sono potenzialmente illegali».

Parco di Portofino

Parco di Portofino

In Italia è stato quindi necessario il coinvolgimento dei Comuni, che hanno dovuto “autorizzare” i cittadini a fotografare i monumenti. Trecento amministrazioni hanno “liberato” più di 5 mila siti. Nei “monumenti” da fotografare si spazia dal mondo dell’ambiente a quello dell’uomo, con edifici, sculture, siti archeologici e naturali.   Partecipare al concorso è gratuito, la lista dei monumenti da immortalare è su wikilovesmonuments.wikimedia.it. Un concorso agile quindi, “wiki”, proprio come la parola hawaiana che significa “molto veloce” e che ha dato il nome ai siti dove gli utenti possono intervenire sui contenuti.

Dal primo al 30 settembre le fotografie potranno essere caricate su Wikimedia Commons - il grande serbatoio multimediale di Wikipedia e dei progetti correlati - e le dieci foto migliori di ogni paese saranno valutate da una giuria internazionale. Le immagini devono essere rilasciate con licenza CC-BY-SA. In soldoni: se si cita l’autore - e si mantiene la stessa licenza - chiunque potrà copiare, modificare, creare opere derivate e ridistribuire la fotografia.

Non ci si guadagna nulla, ma siamo un po’ tutti in debito con Wikipedia e donare  qualche foto è un buon inizio per entrare nell’olimpo di chi crede davvero nella libera condivisione della conoscenza. 

 

(L'Huffington Post Italia, 16 ottobre 2015)

Asia, quando vincono i monsoni

Arrivano anche quando il cielo è azzurro e sembra il pomeriggio più bello dell’anno, con il sole che splende e il temporale del giorno prima lontano come un miraggio. Ma basta una mezzora: si alza un filo d’aria e viene sempre più caldo, anzi, caldissimo. Compaiono i nuvoloni neri, il vento soffia sempre più forte, le palme traballano. Poi è meglio trovare un riparo, perché in pochi minuti viene giù una valanga d’acqua. Che si vede proprio, perché fa rumore come una cascata e offusca il paesaggio sotto le nuvole. Alle volte è un temporale passeggero, se va male sono alluvioni che durano giorni. In ogni caso non resta che aspettare: è l’Asia d’estate, la stagione delle piogge.

Kratie, Cambogia

Kratie, Cambogia

Una stagione calda, umida e tempestosa, ma per gli europei molto spesso non c’è scelta. Le ferie sono in questo periodo e per di più le destinazioni asiatiche sono le più economiche tra le mete extraeuropee. E alla fine anche se ad agosto i temporali sono sempre in agguato vale la piena di rischiare, perché le giornate di sole sono numerose. E qualsiasi agenzia o guida turistica lo dice chiaramente: «Non è per forza il periodo dell’anno meno indicato. Basta essere preparati ai monsoni».

Phi Phi Island, Thailandia

Phi Phi Island, Thailandia

Phi Phi Island, Thailandia

Phi Phi Island, Thailandia

Golfo del Siam, Thailandia, vicino a Ko Samui

Golfo del Siam, Thailandia, vicino a Ko Samui

Ma cosa sono esattamente, i monsoni? Sono venti tipici delle zone tropicali, causati dalla grande differenza di temperatura stagionale che si crea tra la terraferma e l’oceano. Il nome deriva dall'arabo mawsim, che significa proprio "stagione", e deriva da una caratteristica nota già ai naviganti dell'Oceano Indiano in tempi remoti. Il geografo greco Strabone ha narrato la storia di un naufrago indiano chiamato Ippalo, arrivato in Egitto in fin di vita. Per ringraziare il suo salvatore lo guidò in India, mostrandogli la via dei monsoni (che da lui presero il nome di venti ippalici). Strabone ha vissuto a cavallo dell’anno “zero” e già da tempo questi venti erano noti ad arabi e indiani, che li sfruttavano per i commerci.

Halong Bay, Vietnam (foto di Daniele Salvo)

Halong Bay, Vietnam (foto di Daniele Salvo)

Halong Bay, Vietnam

Halong Bay, Vietnam

Halong Bay, Vietnam (foto di Daniele Salvo)

Halong Bay, Vietnam (foto di Daniele Salvo)

Il loro meccanismo è piuttosto semplice: d’estate il suolo continentale è molto caldo (e così l’aria sopra di esso), mentre negli oceani la temperatura è inferiore di parecchi gradi. I venti convergono quindi da ogni parte verso il continente, dove c’è bassa pressione e l’atmosfera è meno densa, arrivando prevalentemente da Sud-Ovest. Il monsone estivo soffia generalmente da maggio a ottobre e in Asia ha la massima frequenza a giugno, luglio e agosto.  Colpisce con maggiore intensità le coste occidentali dell'India e del sudest asiatico (Myanmar, Thailandia e in misura minore la Malesia, più a sud), ma i suoi effetti si fanno sentire (eccome) anche nel Golfo del Siam, in Cambogia e in Vietnam.

Kao Sok, Thailandia

Kao Sok, Thailandia

Kao Sok, Thailandia

Kao Sok, Thailandia

Kao Sok, Thailandia

Kao Sok, Thailandia

Viceversa, durante l’inverno la maggiore quantità di calore accumulata dagli oceani rende più elevata la temperatura dell’atmosfera oceanica rispetto a quella continentale: e i monsoni si ripetono, in direzione opposta (da Nord-Est). Allo spirare del monsone estivo (che viene dal mare) corrisponde quindi la stagione delle piogge, al monsone da terra la stagione secca. L'alternanza di un semestre umido e di un semestre secco regola le semine e i raccolti, influenzando tutta la vita agricola ed economica dei Paesi interessati.

Angkor, Cambodia

Angkor, Cambodia

Chi sta partendo per l’Asia va incontro quindi a un estate un po’ bagnata, ma non deve intimorirsi perché viaggiare durante la stagione monsonica ha i suoi vantaggi. E’ l’occasione per ammirare un fenomeno naturale con il cielo e i venti che mostrano tutta la loro potenza, in un paesaggio al massimo del suo splendore tra campi di riso allagati e una vegetazione della giungla straordinariamente rigogliosa. I turisti non sono molti perché si è in bassa stagione, i prezzi degli alberghi diminuiscono ed è molto più facile mercanteggiare.

Ma anche con la pioggia, no problem: basta usare la mantella

Ma anche con la pioggia, no problem: basta usare la mantella

Solitamente è più probabile trovare bel tempo la mattina, mentre con l’avanzare della giornata bisogna attendersi un temporale coi fiocchi (facile che arrivi nel tardo pomeriggio, di sera o di notte). Alcuni turisti vengono presi alla sprovvista, e si terrorizzano alla prima palma piegata dal vento. Altri pensano che gli ombrelli servano a qualcosa, altri ancora invece si esaltano e si piazzano in mezzo alla strada, braccia aperte e sguardo alle nuvole in segno di sfida come a dire al cielo «più forte, fammi vedere di cosa sei capace!». L’Asia d’agosto ha certamente una dose di azzardo, ma può essere molto divertente. Basta partire con un po’ d’ironia, amare il suono dei tuoni e non avere paura di bagnarsi. Perché sia chiaro: nulla vi salverà dalla pioggia.

Acquario di Genova: top in Italia, 13esimo nel mondo. La classifica di Trip Advisor

Primo in classifica in Italia, ai vertici nel mondo. L’Acquario di Genova è al primo posto nella Top10 italiana che Trip Advisor dedica ad acquari e zoo. E pure nei confronti dei concorrenti esteri va alla grande: quinto posto nel Top25 in Europa, tredicesimo nella Top25 del mondo.
 
I vincitori dei "Traveller's Choice Awards" sono decretati dalle recensioni che milioni di viaggiatori lasciano sul sito TripAdvisor nel corso dei 12 mesi. Grazie alle ottime recensioni ricevute, l’Acquario ottiene anche il Certificato di Eccellenza 2015, premio annuale che riconosce l'eccellenza nel settore ricettivo. E il risultato è una conferma, visto che l’Acquario aveva già conseguito il Certificato nel 2012.

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Su Trip Advisor le recensioni sono una valanga, 4510. Con netta predominanza di “Eccellente” (ben 1891) e “Molto buono (1598). I visitatori impazziscono davanti a pinguini, foche e delfini, affascinati da tutto quello che si muove nelle vasche, che siano meduse, piranha o squali. E gli aggettivi che rivelano l’entusiasmo si sprecano: “meraviglioso”, “fantastico”, “indimenticabile” e via dicendo, passando in rassegna  tutto il vocabolario di lingua italiana che porta le cose belle al superlativo. «Il giudizio dei nostri visitatori – commenta Giuseppe Costa, Presidente di Costa Edutainment – è per noi un elemento fondamentale al quale da sempre prestiamo grande attenzione. Con Tripadvisor e l’apertura dei canali social si è intensificato ulteriormente l’ascolto del nostro pubblico di cui da anni monitoriamo la soddisfazione».


 
Se nella gara con gli acquari italiani non c’è storia (il primo dopo Genova è il SeaLife Aquarium del Lido di Jesolo, solo all’ottavo posto), per competere con il resto d’Europa bisogna però migliorarsi. Ma chi è prima di Genova? Al primo posto c’è l’Oceanario di Lisbona (Portogallo), al secondo l’Oceanografic di Valencia (Spagna), subito dopo l’Aquaworld di Chersonisos (Grecia) e poi Mundomar di Benidorm (ancora Spagna). L’Europa meridionale non sarà il massimo nel far quadrare i conti, ma quanto ad acquari batte tutti.


Fango, zanzare e marmellate di bufalo. Eppure mi trasferirei in Laos

Nei cento chilometri che separano l'ultima città vietnamita dalla prima città laotiana, Muang Khua, la vegetazione è così rigogliosa da render gradevoli le centinaia di curve che scavano i fianchi delle montagne. Il viaggio termina a Muang Khua perché termina la strada. Il fiume Nam Ou non ha ponti, solo acqua marrone e piroghe che aspettano passeggeri diretti a sud. Basta avvicinarsi alla riva, trattare con i barcaioli e aspettare che qualcuno vada nella stessa direzione: in tre ore di navigazione si arriva al primo villaggio nella giungla, Muang Noi.

Muang Khua

Muang Khua

Una striscia di case di legno spunta tra le montagne maestose, all'ombra di palme da cocco e banani. Non c'è elettricità, solo generatori con cui leggere un po' dopo il tramonto e farsi divorare dalle zanzare. Il cellulare non prende, non c'è nessuna strada. All'alba le montagne sono velate da nubi, appena si alza le nebbia - se ci si stufa di spiare le donne che lavano le vesti - si può andare a pesca insieme agli uomini del villaggio: in piedi, con l'acqua del fiume alla cintola e le reti pesantissime da lanciare a mano, un cappello a cono per ripararsi dal sole.

Muang Noi

Muang Noi

Muang Noi

Muang Noi

Un'ora di navigazione porta alla strada per Luang Prabang, l'antica capitale del Laos Patrimonio dell'Unesco dal 1995. Nella città ci sono trentadue templi buddisti, poche automobili, centinaia di monaci vestiti con le tuniche color zafferano e tanti bar dove dissetarsi con succhi di dragon fruit e gustare una delle specialità del luogo: il jaew bawng, una marmellata di pelle di bufalo essicata con il peperoncino (da "spalmare" su alghe di fiume essicate). Insomma, una roba deliziosa.

Il Mekong, Luang Prabang

Il Mekong, Luang Prabang

In poche ore di sawngthaew, un furgoncino con due panche nel cassone a far da sedili, si arriva a Vientiane, la capitale del Laos. La "città del legno di sandalo" ha soli 230 mila abitanti e un gigantesco Mekong che la separa dalla Thailandia. Basta una giornata di viaggio per arrivare nel sud del paese, alle "Quattromila isole". In questa zona il Mekong raggiunge la sua massima larghezza - 14 chilometri durante i monsoni - mentre durante la stagione secca si ritira e affiorano migliaia di isole, lembi di terra, lingue di sabbia.

Quattromila isole

Quattromila isole

Quattromila isole

Quattromila isole

Ho pensato a lungo che se dovessi scegliere un posto del sud est asiatico dove trasferirmi, le 4 mila isole sarebbero la mia prima scelta. Non è difficile capire perché. La vita nei villaggi di palafitte prosegue placida, noncurante dell'elettricità arrivata da poco. Gli uomini sono chini nei campi di riso, gli anziani dondolano sulle amache, i bimbi si lanciano nel fiume, tra farfalle grandi come uccellini. Tutto intorno, il Mekong. Un paradiso: basta ricordare di portare con sé tanti, ma tanti tanti, libri.

(anche su L'Huffington Post)

 

 

 

Monviso, la piramide dei due mondi

Sembra una piramide, impervia e gigantesca. Si vede dalla pianura padana e domina le valli occitane che lo circondano, ma solo la mattina presto perché poi si incappuccia di nuvole. Con 3842 metri d’altezza il Monviso è il monte più alto delle Alpi Cozie.  “Re di pietra”, lo chiamano. Tra le sue rocce laghetti cristallini, stambecchi e rifugi d’alta quota. Nel maggio 2013 l’Unesco lo ha riconosciuto come Riserva della biosfera nazionale e transfrontaliera. Quasi trecentomila ettari tra le province di Cuneo e Torino che comprendono i due versanti del Monviso, il colle dell’Agnello e il colle delle Traversette e si estendono nei territori delle valli Maira, Varaita, Po, Bronda e Infernotto.  

Il Monviso

Il Monviso

Il giro del Monviso è un trekking storico: il primo ad aggirarlo fu J.D. Forbes, docente di filosofia naturale dell’Università di Edimburgo, nel 1839. L’escursione richiede tre giorni di cammino, ma non mancano itinerari da una settimana o gare sportive che lo aggirano in otto ore, di corsa.  I panorami sono aspri e severi, addolciti dai fischi delle marmotte e dalle stelle alpine.  

La vista dal rifugio Quintino Sella

La vista dal rifugio Quintino Sella

Si parte da Pontechianale, in Val Varaita, tra le baite e i pascoli di mucche. La cultura provenzale è esibita con orgoglio da pochi abitanti rimasti: raviole, tomini e danze occitane al suono di fisarmonica, organetto e ghironda. Dal centro del paese si costeggia lo splendido lago sino alla diga. Quando fu costruita, negli anni ’40, sommerse una borgata: nei periodi di magra se ne intravedono i resti sul fondo del lago.

Pontechianale

Pontechianale

Il primo giorno serve per raggiungere il rifugio Quintino Sella. Dalla frazione Castello (1600 metri s.l.m.) si cammina almeno cinque ore. Il dislivello è 1150 metri in salita e 150 metri in discesa. Si percorre la ripida mulattiera sino a raggiungere l’Allevè - il bosco di pini cembri più grande d’Italia, tra i più estesi di Europa - e si attraversano prati e pietraie sino all’alto Vallone delle Giargiatte.

La nebbia e le nuvole vanno e vengono, una conca con centinaia di “omini” di pietra porta al Passo di San Chiaffredo (2764) che separa la Val Varaita dalla Valle Po. La natura è selvaggia, vicino ai laghi delle Sagnette c’è la neve anche d’estate. Il lago grande di Viso è proprio sotto la parete occidentale del monte, così come lo storico rifugio Quintino Sella, dedicato al fondatore del Cai. Siamo a 2640 metri sul livello del mare.  

Il lago grande di Viso

Il lago grande di Viso

Il secondo giorno è il più duro: per raggiungere il rifugio Viso, in Francia, bisogna camminare quasi sette ore. Il dislivello, sia in salita che in discesa, supera i mille metri. Si cammina ai piedi del Monviso tra laghi, morene e residui di neve. ll lago Chiaretto appare all’improvviso con un colore azzurro lattiginoso, poco sotto ci sono il lago Fiorenza e le sorgenti del fiume Po.

Lago Chiaretto

Lago Chiaretto

Da Pian del re (2020) bisogna risalire per quasi mille metri. Da prati in fiore si arriva a pietraie con camosci e banchi di nebbia: la diroccata caserma delle Traversette domina un deserto di sassi. Il Passo delle Traversette (2950) unisce la Valle Po con la Valle Guil in Francia.

La Caserma delle Traversette

La Caserma delle Traversette

Vicino al Passo delle Traversette

Vicino al Passo delle Traversette

C’è chi giura che Annibale passò proprio di qui - con un esercito di trentamila uomini e 37 elefanti - distruggendo la montagna con fuoco e aceto.  Anziché raggiungere la cima del colle si può arrivare in Francia attraverso il Buco di Viso, un tunnel di 75 metri che si addentra nella montagna. Fu scavato nel 1478 su un’idea del marchese Lodovico II di Saluzzo e si ritiene sia il primo traforo alpino nella storia.

Il Buco di Viso

Il Buco di Viso

E’ indispensabile una torcia per attraversarlo, l’uscita nel versante francese è tra la roccia e la neve, alta più di quattro metri anche d’estate. Il rifugio Viso si vede in lontananza, nell’alta Valle del Guil, a 2460 metri.

La valle del Guil

La valle del Guil

Il terzo giorno si ritorna a Pontechianale con sei ore di cammino. Si lascia la conca di pascoli e si ritorna in Val Varaita attraverso il passo di Vallanta. Il dislivello è 350 metri in salita e ben 1200 in discesa.

Waterloo, 200 anni dopo

Le spighe erano ancora da mietere, quel 18 giugno 1815. Intorno ai campi di Mont Saint Jean erano accampati più 300 mila soldati: quasi tutti francesi, inglesi, prussiani. I francesi la chiamarono la battaglia di Mont Saint-Jean, i prussiani battaglia di Belle-Alliance. Per il resto mondo è diventata la battaglia di Waterloo, uno degli episodi militari più famosi della storia. Dopo duecento anni il Belgio ricorda quello scontro con quattro giorni di rievocazioni, le più grandi di sempre. Dal 18 al 21 giugno ci saranno migliaia di figuranti e centinaia di cavalli per rimettere in scena la battaglia che in un pomeriggio di guerra ha ridisegnato la mappa di un continente.

Waterloo

Waterloo

Giusto per dare una rinfrescatina: la Francia di Napoleone, che in una decina d’anni aveva conquistato o esteso l’influenza in mezza Europa (sino alla Russia), fermava definitivamente la sua avanzata. Anche se Waterloo può far pensare a un campo di battaglia deserto, c’è molto da vedere. Nella cittadina c’è il Museo Wellington, dove il duca inglese, comandante delle truppe alleate opposte a Napoleone, installò il 17 e 18 giugno 1815 il suo Quartier Generale. Il museo con il quartier generale di Napoleone è invece poco fuori Waterloo ed è stato restaurato per l’occasione. Come la fattoria di Hougomont, dove si consumò una delle più violente lotte tra francesi e inglesi. C’è poi la Ferme de Mont Saint Jean, un birrificio dove viene prodotta la birra Waterloo, nata nel 1456 e rinomata per la sua bontà «che guariva i malati e infondeva coraggio ai soldati».

La “Butte du lion”, la collina costruita da Wellington per celebrare la vittoria degli inglesi, si vede già dall’autostrada. Il leone spunta tra geometrie di terre arate e distese di grano, campi di pannocchie e antiche fattorie. Fu creato con il ferro dei cannoni francesi recuperati dopo la battaglia, nel luogo dove il Principe d’Orange fu ferito durante i combattimenti. Per salire sulla cima ci sono 226 gradini: la vista è meravigliosa, ed è l’unico modo per capire davvero la grandezza della piana della battaglia. Il leone ha una zampa appoggiata sul globo e simboleggia la vittoria e la pace che l'Europa ha conquistato nella piana di Waterloo. Il paesaggio è rimasto quello di un tempo, con i campi di grano verde e le pannocchie che stanno crescendo.  Ai suoi piedi c’è il Memorial 1815, appena inaugurato, con la sua impressionante esposizione di soldati in marcia e il film in 4D per rivivere la battaglia.

Ma la battaglia, chi se la ricorda davvero? Ecco un breve riassunto, giusto da non far brutta figura. Mentre nel Congresso di Vienna si cercava di ristabilire la pace in Europa, Napoleone ritornò in Francia dall’ isola d’Elba. Fu il panico: austriaci, prussiani, russi e inglesi unirono le forze e crearono un esercito con più di 900 mila soldati. Gli eserciti si incontrarono nell’attuale Belgio: Napoleone aveva 120 mila soldati, gli inglesi di Wellington e i prussiani di Blucher, che aveva più di 70 anni, erano duecentomila.  La battaglia esplose alle 11.30 del 18 giugno, dopo una notte di pioggia che aveva tramutato i campi di grano in un mare di fango. Alle 21 la battaglia era già finita. Fu un massacro. Come disse Wellington «Niente, tranne una battaglia perduta, può essere malinconica come una battaglia vinta». Sul campo restavano diecimila morti e trentamila feriti. 

(anche su L'Huffington Post)

 

 

Zelenkovac, l'eco villaggio della Bosnia diventa un documentario

Zelenkovac è un ecovillaggio della Bosnia costruito tra boschi e montagne. E' una gemma che si distingue come modello di tolleranza e dà il titolo a un documentario realizzato da tre amici, Luca Fiorato, Michele Giuseppone e Daniele Canepa. In modo un po’ folle, il fondatore di Zelenkovac Borislav “Boro” Janković, figura centrale del film, è riuscito creare uno spazio armonioso in una terra ancora così sofferente. 

Zelenkovac -Foto di Davide Castagnola

Zelenkovac -Foto di Davide Castagnola

Per scoprire di più basta guardare il loro documentario: visitatori provenienti da paesi di tutto il mondo, artisti, sostenitori locali e internazionali del progetto raccontano la propria esperienza sul perché Zelenkovac è così speciale. Sullo sfondo, in contrasto, rimangono comunque le conseguenze della guerra e della corruzione, perché, ovviamente, la Bosnia è stata anche questo e lo è ancora.

Zelenkovac -Foto di Davide Castagnola

Zelenkovac -Foto di Davide Castagnola

La realtà presentata nel film Zelenkovac e l’esperienza stessa di Boro, invece, insegnano che anche da una situazione apparentemente priva di uscita, come quella della Bosnia di oggi, è possibile creare valore. “Volevo dimostrare che ognuno ha il diritto di vivere nel posto in cui è nato,” afferma con convinzione Boro. Spinti dall’obiettivo di far emergere questo tipo di atteggiamento di fiducia nei confronti della vita e di non darla vinta a coloro che prosperano sull’ “Intanto non cambia niente”,  Luca Fiorato, Michele Giuseppone e Daniele Canepa - con l’aiuto di altri quattro amici - hanno deciso di investire il nostro tempo e denaro per realizzare Zelenkovac.

Zelenkovac -Foto di Davide Castagnola

Zelenkovac -Foto di Davide Castagnola

Il film, totalmente autoprodotto e autofinanziato, è già stato completato e sottotitolato in più lingue, tra le quali l’italiano, e inviato a diversi festival nazionali e internazionali per documentari.  Grazie a una raccolta fondi con Indiegogo Zelenkovac sarà pubblicato come cofanetto (libro + DVD). Non resta che comprarlo!