Vacanza rurale, parte 2: WWOOF in Liguria

Un’estate a coltivare basilico e raccogliere rose, o magari a pascolare capre sull’Appennino e a tagliare la legna. Lontani da telefoni e computer, senza spendere un soldo, con letto e pasti garantiti. Non è un sogno: le opportunità di questo tipo in Liguria non mancano, basta aver voglia di stare all’aria aperta e riscoprire la vita contadina. E soprattutto, saper dove cercare. 

La Tabacca, sede di Terra! nel Parco del Beigua

La Tabacca, sede di Terra! nel Parco del Beigua

La rete mondiale Wwoof è l’esempio più celebre che mette in contatto volontari e progetti rurali. Wwoof sta  per “World wide opportunities on organic farm” ed è un circuito di aziende agricole, masserie e fattorie biologiche che ospitano chi è disposto a condividere il proprio lavoro. «ll bello di fare wwoofing è riassunto nel nostro motto: condividere la quotidianità rurale alla ricerca di stili di vita in armonia con la natura», spiega Claudio Pozzi, presidente di Wwoof Italia. «Ma attenzione a non confonderlo con una vacanza a basso costo o con un modo per avere lavoratori gratis», tiene a precisare. «Il denaro non c’entra. Fare wwoofing è uno scambio in termini umani, un rapporto culturale ed educativo». 

La Tabacca, sede di Terra! nel Parco del Beigua

La Tabacca, sede di Terra! nel Parco del Beigua

Il progetto Wwoof è nato nel 1971 in Inghilterra e grazie a internet sta crescendo in tutto il mondo: in Italia le strutture ospitanti sono circa 700, una ventina quelle in Liguria. «E ci sono sempre più domande di adesione», spiega il referente di Wwoof Liguria, Mauro Sellaroli, veronese di 27 anni che dopo la laurea in geografia ha fatto wwoofing in Liguria e ha deciso di trasferirsi in un podere sopra Vesima. «Per ora ho un orto familiare, ma a breve partirò con le capre per produrre latte, yogurt e formaggio».

La fattoria Sugarsu, a Vesima

La fattoria Sugarsu, a Vesima

Su Wwoof.it c’è la lista delle strutture ospitanti con tutte le informazioni necessarie e i tipi di lavoro richiesti. Nella valle di Sori cercano una mano per allevare le api, nello spezzino e nell’imperiese per curare gli uliveti. Dario e Laura vivono nella Fattoria Dolce Humus, vicino ad Albenga, e coltivano la terra con metodo Fukuoka, senza nessun trattamento e mezzi meccanici. Chi sogna un’estate “come un volta” rimarrà soddisfatto: «Qui non è come la fattoria di Nonna Papera – spiegano - Ci sono ragni, zanzare, bisce e un sacco di animaletti. Non abbiamo frigorifero, TV, computer, internet, videogiochi. Abbiamo la possibilità di far ricaricare solo i telefonini».

Uliveto. Da www.wwoof.it

Uliveto. Da www.wwoof.it

Gli amanti di agricolture più particolari possono rivolgersi all’Accademia Italiana di Permacultura, che riunisce chi pratica questo modo di gestire il paesaggio senza modificare l’ecosistema naturale. Un laboratorio per imparare è “La Tabacca”, un casa contadina tra i castagni del Parco del Beigua gestito dall’associazione ambientalista Terra!. «Da giugno ospiteremo volontari per realizzare orti sinergici – spiega Giorgia Bocca, vicepresidente dell’associazione -  Semineremo le colture per l’autunno e libereremo alcune fasce dai rovi. Ma tutto il casolare ha ancora bisogno di una ricostruzione, ovviamente ecologica, che renda la casa di campagna un laboratorio a cielo aperto . Sarà un modo per vivere in modo sano e sostenibile, e riscoprire il piacere di passare il tempo insieme».

(anche su Repubblica.it)

Il giro del mondo a 80 all'ora: l'impresa di Luca (e la sua vespa gialla)

L’idea gli venne durante un’estate vagabonda in Spagna, quando in sella a una Vespa tinta giallo cromo arrivò in fondo all’Andalusia, a Tarifa. Era il 2003 e c’era l’Atlantico a sbarrargli la via, ma Luca giurò a se stesso che un giorno neppure gli oceani lo avrebbero fermato. Undici anni dopo ha realizzato il suo sogno di sentieri polverosi e mani sporche di grasso, minareti, deserti e giungle tropicali. Con un’altra Vespa gialla a portarlo fin dove arriva la strada.

La partenza da Genova

La partenza da Genova

Luca Capocchiano ha 37 anni ed è un ingegnere meccanico di Genova, con un passato di successo nel mondo del Campionato Superbike – con Ducati e Honda – e un lavoro alla Ferrari, a Maranello. A ottobre dello scorso anno Luca è partito per il giro del mondo da Genova, direzione est, con l’idea di ritornare nello stesso punto dopo 40 mila chilometri e 28 Paesi, da ovest. «Perché proprio una Vespa? - spiega Luca da Bangkok, in Thailandia - Perché ha le qualità più importanti per un viaggio così lungo: l’affidabilità, la facilità di manutenzione e l’interesse dei ladri. In Europa tutti conoscono il valore di una Vespa d’epoca: altrove una Vespa d’epoca è solo una moto vecchia».

Foto di Luca Capocchiano

Foto di Luca Capocchiano

La sera del 5 ottobre Luca ha lasciato Genova con una 125 TS del 1976 dipinta di giallo Positano, un po’ di bagagli, qualche pezzo di ricambio, una tanica di benzina. E ha cominciato a raccontare il suo viaggio sul blog ilgirodelmondoa80allora.com.(dove è anche possibile donare a Luca 10 euro per un pieno). Prima fermata, Balcani. «Il Montenegro mi ha accolto benissimo – racconta divertito - Il poliziotto alla dogana che controllava stancamente i miei documenti si è illuminato leggendo la mia città natale. ”Ah Genova, Zampdoria, Mihajlović!”. E anche il proprietario del primo hotel in Albania è stato molto gentile. Mentre caricavo i bagagli, si è avvicinato e mi ha detto: “Se dormi a Tirana, portati la Vespa nel letto. Nei paesi piccoli te la rubano lo stesso, ma lì puoi ritrovarla pagando un riscatto al capo villaggio. Se te la rubano a Tirana invece sparisce per sempre”. Nei sei mesi di viaggio la Vespa ha sorpassato i ladri di Medio Oriente e Asia, ma non ha retto la traversata dei gelidi altopiani turchi.

Kurdistan turco (foto di Luca Capocchiano)

Kurdistan turco (foto di Luca Capocchiano)

Dopo una notte di neve tra le montagne del Kurdistan, a novembre, arriva infatti il primo grande intoppo. «Mi fermo a fare una foto e la moto si spegne. Riparte a fatica. Poi si spegne ancora. Ferita a morte mi ha portato in salvo fino in città, permettendomi di trovare un alloggio dove poterla controllare, come un vero cavallo da battaglia al termine dello scontro fatale». In attesa dei pezzi di ricambio Luca rimane fermo per giorni a Dogubayazit, polverosa città di confine con l’Iran. Grazie al forum di “Vespaonline.com” riesce a smontare la moto nel sottoscala dell’albergo e a riparare il danno, ormai ospite fisso di due meccanici che aggiustano le auto della loro officina a suon di mazzate.

Dogubayazit (foto di Luca Capocchiano)

Dogubayazit (foto di Luca Capocchiano)

«Al confine i poliziotti turchi erano così stupiti del mio mezzo che mi han fatto superare la lunga fila di camion, addirittura fischiando divertiti ai colleghi iraniani di là dal cancello». Dopo oltre 2500 km di discesa dalle fredde montagne del nord  - e un incontro a Isfahan  con due ragazzi napoletani diretti in Australia con una BMW – Luca arriva a Bandar Abbas, nel Golfo persico,  e dorme a casa di Omid, un ragazzo contattato tramite Couchsurfing. «Le stanze erano senza letti, armadi, neppure un comodino. Omid dormiva per terra su un piumone, non ho avuto il coraggio di chiedergli perché. Oltre a Luca ospitava Bjorne, una specie di vichingo con la faccia buona, un ragazzone tedesco partito da Amburgo e arrivato fino a Trazbon in Turchia a piedi, seguendo i binari del treno».  

Isfahan, Iran (foto di Luca Capocchiano)

Isfahan, Iran (foto di Luca Capocchiano)

Luca naviga quindi sino agli Emirati Arabi per raggiungere l’Oman, dove sembrava ci fosse una nave per l’India.  Per due giorni è adottato da un gruppo di biker: nel frattempo c’è una gara automobilistica di “drifting” (quelle dove le macchine derapano a ogni curva), fa un giro in pista con la Vespa, è premiato insieme ai vincitori e finisce sul giornale locale.

Emirati Arabi Uniti (foto di Luca Capocchiano)

Emirati Arabi Uniti (foto di Luca Capocchiano)

Ma la spedizione della Vespa dall’Oman costa troppo cara e così Luca torna a Dubai. Dove comincia il suo calvario: resta tre giorni in aeroporto in attesa di una partenza che gli assicuravano imminente, con la Vespa presa in ostaggio dagli spedizionieri e i prezzi già carissimi i lievitati a dismisura. Riesce comunque a spedire la moto a Mumbai e a risalire l’India sino al Nepal - attraverso zone remote e selvagge, terre di elefanti e grigliate a base di topo e cane – per poi ridiscendere verso il Myanmar. «Un Paese che ha aperto le frontiere via terra solamente da un anno e in cui la mia Vespa è probabilmente la prima a metterci le ruote».

India (foto di Luca Capocchiano)

India (foto di Luca Capocchiano)

Dopo la visita della Cambogia e delle meraviglie di Angkor, ecco la sosta in Thailandia. «Avevo assolutamente bisogno di un centro di assistenza Piaggio per riparare un po’ di problemi che mi trascinavo dietro da tempo». Dopo il restyling è partito per Singapore e ha imbarcato la moto su una nave container per Darwin, nel nord dell’Australia, dove è arrivato a inizio maggio. Dopo 5mila chilometri via terra sino a Melbourne  volerà oltre il Pacifico, a Santiago del Cile, punterà verso la terra del Fuego e risalirà l’Argentina sino al Brasile. Si imbarcherà per il Senegal e seguirà il percorso della vecchia Parigi Dakar, sino in Italia.

Australia (foto di Luca Capocchiano)

Australia (foto di Luca Capocchiano)

Ad aspettarlo ci sarà la fidanzata, che sul blog chiama ermeticamente “Zucchero Filato”. «Non si può dire propriamente felice della mia decisione – confessa Luca - ma nonostante non approvi capisce che era il mio sogno».  Zucchero Filato dovrà aspettare un po’ più del previsto, poiché la data del ritorno di Luca a Genova – atteso a giugno – slitterà a fine estate. La speranza di un fidanzato preciso come il celebre Phileas Fogg, che nel romanzo di Verne girò intorno al mondo in 80 giorni, è ormai un miraggio. Ma di sicuro potrà abbracciare un fidanzato bello abbronzato, fresco della traversata di Mauritania e Marocco in pieno agosto.

(anche su Repubblica.it)

Grecia di primavera. Creta, Cicladi, Atene.

Distese di fichi d’india e ulivi profumano l’aria delle campagne, viali di aranci e cascate di gerani colorano i centri abitati. Tutt’intorno il mare, ora cobalto ora turchese, spiagge dorate, il vento che sa di Mediterraneo. Egeo, forse è qui il paradiso. Sei mila isole di cui solo 227 abitate, una manciata quelle più note. La primavera è il momento ideale per viverle senza la folla dei mesi estivi.

Rodi

Rodi

L’isola più visitata della Grecia è Creta, nell’estremo sud del mar Egeo a 300 chilometri dalla costa africana. E’ la quinta isola più grossa del Mediterraneo, nota anche con il nome veneziano “Candia”. Qui nacque la civiltà minoica, tra il 2700 e il 1450 a.C. Fu riscoperta nei primi anni del Novecento dall’archeologo britannico Arthur Evans, che a pochi chilometri dalla città di Iraklion rintracciò il palazzo di Cnosso. E’ uno dei siti archeologici più importanti del Paese ed è collegato ad antichi miti della Grecia classica: era così complesso e intricato da esser menzionato come il labirinto dove il re Minosse rinchiuse il Minotauro.

Creta, Il palazzo di Cnosso

Creta, Il palazzo di Cnosso

Nel sud dell’isola c’è il villaggio di Matala, reso celebre dalle grotte preistoriche abitate da una comunità hippy negli anni ’70. La spiaggia bagnata dal mar libico divenne meta di giovani da tutto il mondo, tra cui artisti e musicisti come John Lennon, Bob Dylan, John Baez e Janis Joplin.

Creta, la spiaggia degli hippy

Creta, la spiaggia degli hippy

Le isole più vicine ad Atene sono le Cicladi. Mykonos, campo di battaglia tra Zeus e i Titani, è senz’altro la più mondana. Di estate è patria di discoteche, cocktail e spiagge nudiste, in primavera è un villaggio silenzioso con boutique eleganti e giardini colmi di limoni. I celebri mulini a vento sono poco oltre la “piccola Venezia”, un gruppetto di case incantevoli costruite proprio sul mare. ​

Mykonos, la "piccola Venezia"

Mykonos, la "piccola Venezia"

L’isola è meta del turismo dagli anni ’30 del Novecento per la vicinanza a Delo, dove c’è un sito archeologico patrimonio dell’Unesco. L’isola di Tinos dista un decina di chilometri,  il villaggio arroccato sulle colline è un’oasi di quiete per  passeggiare senza meta. Tra le case candide con i balconi blu regna il silenzio e sembra quasi di disturbare i gatti che sonnecchiano all’ombra delle bouganville in fiore.

Mykonos

Mykonos

Mykonos

Mykonos

Santorini è l’isola più meridionale delle Cicladi, gioiello dell’Egeo con la forma di mezzaluna. Appare come un’enorme falesia nera che emerge dalle acque, la sua sommità candida lascia senza punti di riferimento nella memoria e fa pensare a un abbaglio, al marmo, addirittura alla neve. Bisogna arrivare proprio sotto l’isola e mettersi con il naso all’insù per capire che si tratta dei paesi Thira e Oia, gruppi di piccole casette bianche 500 metri più in alto, a picco sul mare. La caldera sommersa è l’eredità di quella che  forse è stata la più grande eruzione vulcanica di tutti i tempi. Nel 1627 a.C. l’isola fu sventrata dall’esplosione e sprofondò nel mare, affascinando i posteri con l’irrisolvibile dubbio che proprio qui sorgesse la città di Atlantide.

Santorini

Santorini

L’arcipelago del Dodecaneso è proprio di fronte all’Asia minore, a pochi chilometri dalla città turca Bodrum. L’isola di Kos – luogo natale di Ippocrate, padre della medicina - è famosa per la ricca vegetazione e il clima temperato, le moschee e le spiagge meravigliose. A poche ore di navigazione c’è la leggendaria Patmos, luogo dove l’apostolo Giovanni  scrisse il Vangelo e l’Apocalisse. I collegamenti con le altre isole sono più difficoltosi e proprio questo restituisce ai viaggiatori una Grecia intima, genuina, dove si cammina tra i pastori per arrivare a calette deserte, e la sera ci si accontenta di una taverna dove bere un bicchiere di Ouzo. Il centro storico di Chora, il Monastero di San Giovanni e la grotta dell’Apocalisse sono state dichiarate dall’Unesco patrimonio dell’Umanità. Patmos è uno dei pochi posti al mondo dove le cerimonie religiose sono ancora praticate nella forma originaria, come lo erano agli inizi del Cristianesimo.

Patmos, la grotta dell'Apocalisse

Patmos, la grotta dell'Apocalisse

Patmos, il Monastero di San Giovanni

Patmos, il Monastero di San Giovanni

Le principali isole della Grecia sono unite dai traghetti locali, le crociere che partono dall’Italia toccano le località più famose. Se non si ha molto tempo a disposizione si può salpare direttamente nel Mar Egeo con la compagnia Louis Cruises, che ha numerose partenze da Grecia, Cipro e Turchia. Un tour delle isole è in ogni caso un’ottima occasione per visitare la capitale Atene: una metropoli vivace con quattro milioni di persone, venditori ambulanti ai lati delle strade e una rocca nel cuore della città, l’Acropoli, dove l’umanità ha offerto il meglio del suo passato.​

Atene, l'Acropoli e il Partenone

Atene, l'Acropoli e il Partenone

Il Partenone, dopo 2500 anni di terremoti, guerre e saccheggi, domina la città con i suoi resti. Simbolo dell’architettura classica, fu costruito in onore della dea Atena per iniziativa di Pericle, nel V secolo a.C..  Nel 1687 fu colpito con una cannonata dei Veneziani che frantumò duemila anni di storia, lasciando al mondo uno scheletro di marmo dalla grandiosità ultraterrena.

Sulle pendici dell’Acropoli c’è il Teatro di Dioniso, il teatro greco per eccellenza, ai piedi del nuovo Museo dell’Acropoli c’è l’Odeo di Erode Attico. Meno noto è il santuario dedicato a Egeo, mitologico re di Atene padre di Teseo. Della sua vita si ricorda sempre l’ultimo istante: aspettava il figlio di ritorno da Creta, dove era andato a uccidere il Minotauro. Teseo avrebbe issato vele bianche in caso di vittoria e vele in nere in caso di sconfitta, ma una tempesta squarciò quelle candide  così  le sostituì con le scure. Quando Egeo vide la nave in lontananza lo credette morto e non resse al dolore: si tolse la vita, gettandosi nelle acque di quel mare ricco d’isole che ora porta il suo nome.

(anche su Repubblica.it)


Ucraina, sulla rotta delle badanti

C’è un rito silenzioso che viene celebrato ogni domenica nelle periferie delle città italiane, un viaggio che dura due giorni e attraversa tre frontiere. È la rotta delle badanti. Quando un anno fa è esplosa la guerra in Ucraina, due giornalisti del Secolo XIX di Genova sono partiti per capire cosa stesse succedendo.  Marco Grasso, cronista di giudiziaria, e Davide Pambianchi, fotoreporter, hanno scelto di raccontare la crisi attraverso le tante donne ucraine che in Italia fanno lavori difficili e umili. Sono saliti con loro sui bus che ogni settimana le riportano a casa, per brevi soggiorni, e sono partiti per Kiev. Ne è nato un documentario, Lost in Revolution.

Foto di Davide Pambianchi

Foto di Davide Pambianchi

Le corse regolari dei bus dall’Italia, organizzate da Eurolines, sono ogni due domeniche. Poi ci sono i Ducato a sei posti, meno comodi ma più veloci. Dall’Italia si passa in Austria, poi in Ungheria e infine in Ucraina.  Raissa ha 60 anni e ne ha passati sei a Mantova prima di trovare impiego in Liguria.  «Quando guardo la tv mi sento male – spiega Raissa nel documentario - Sono due mesi che non penso ad altro. Qualche tempo fa ho preso coraggio e ho deciso. Il mio posto adesso è là, accanto ai miei cari». Raissa viene da Khmelnitsky, centro agricolo da 300mila abitanti della regione della Podolia, nell’ovest del Paese, la zona da cui vengono quasi tutte le migranti impiegate nell’assistenza agli anziani in Italia. 

Dal sito Lostinrevolution.net - Foto di Davide Pambianchi

Dal sito Lostinrevolution.net - Foto di Davide Pambianchi

A raccontare la storia dell’Ucraina di oggi in Lost in Revolution ci sono Olga, ingegnere che lavora a Milano come badante e ma non può ritornare a casa perché clandestina; Liubov, studentessa nell’ovest dell’Ucraina; Valentin, poliziotto che stanco di vivere in un Paese corrotto si è unito alla rivoluzione; Kyrilo, un compositore e pianista di strada che dopo l’inizio delle sommosse ha iniziato a vivere nei palazzi occupati dalle milizie ed è diventato uno dei simboli di Euromaidan. Olga, Liubov, Valentin, Kyrilo. Persone alla ricerca di una felicità che non ha niente a che fare con Merkel, o Putin, o Poroshenko. E ci ricordano che ad Est come a Sud della nostra Italia ci sono persone pronte a morire, per guadagnarsi un pezzo di quell’ Europa che per ora hanno solo sognato.


 

"Cambogia, gli uomini che parlano gli elefanti" alla Feltrinelli di Genova

 

Abitano in villaggi nella giungla, nelle remote montagne al confine tra Cambogia e Vietnam. Sono i Bunong, una minoranza animista che vive in simbiosi con la natura e si tramanda da sempre il segreto per parlare agli elefanti. La mostra fotografica “Cambogia, gli uomini che parlano agli elefanti” - un reportage di Massimiliano Salvo pubblicato da L’Espresso.it. - sarà presentata martedì 5 maggio alle 18 nello Spazio Eventi della libreria Feltrinelli di Genova, in via Ceccardi; rimarrà allestita fino al 31 maggio.  

All'inaugurazione sarà presente, oltre all'autore, il noto scrittore e giornalista di viaggio Pietro Tarallo.


(anche su Repubblica.it)

 

La vacanza rurale, parte 1: il "wwoofing"

Un’estate con le mani sporche di terra e le giornate al ritmo del sole. Magari senza telefoni e computer, a mungere le mucche sulle Dolomiti o a curare un uliveto a picco sul mare. Il tutto senza spendere un soldo, con letto e pasti garantiti. Sull’Appennino tosco romagnolo, per esempio, la “Fattoria dell’Autosufficienza” mette a disposizione tende e jurte per chi darà una mano nell’orto. Nelle montagne dell’aquilano si cercano volontari per raccogliere frutti di bosco, mentre un’azienda ai piedi dell’Etna ha bisogno di aiuto per recuperare un campo di avocadi abbandonato. Le opportunità di questo tipo in Italia sono centinaia, da Bolzano sino a Trapani: basta aver voglia di stare all’aria aperta, con la curiosità di riscoprire la vita contadina. E soprattutto, saper dove cercare.

Wwoofing in Sicilia. Da wwoof.it

Wwoofing in Sicilia. Da wwoof.it

La rete mondiale Wwoof è l’esempio più celebre che mette in contatto volontari e progetti rurali. Wwoof sta  per “World wide opportunities on organic farm” ed è un circuito di aziende agricole, masserie e fattorie biologiche che ospitano chi è disposto a condividere il proprio lavoro.  In Italia (www.wwoof.it) le strutture ospitanti sono circa 700 e ce n’è per tutti i gusti. In Val d’Aosta, a Cogne, un allevatore offre un posto in un bungalow per chi lo aiuterà ad addestrare i suoi cavalli andalusi. In Val Maira, nel cuneese, la famiglia di Fabrizio e Ivana cerca volontari per pulire i sentieri e tagliare la legna. L’agriturismo Le Bine del mantovano - una cascina in un’oasi del WWF, nel Parco del fiume Oglio – accoglie ospiti per raccogliere la frutta e occuparsi delle smielatura.

Wwoofer, da wwoof.it

Wwoofer, da wwoof.it

«ll bello di fare wwoofing è riassunto nel nostro motto: condividere la quotidianità rurale alla ricerca di stili di vita in armonia con la natura», spiega Claudio Pozzi, presidente di Wwoof Italia. «Ma attenzione a non confonderlo con una vacanza a basso costo o con un modo per avere lavoratori gratis», tiene a precisare. «In queste esperienze non c’entra il denaro. Fare wwoofing è uno scambio in termini umani, un rapporto culturale».  Il progetto Wwoof è nato nel 1971 in Inghilterra e grazie a internet si è diffuso velocemente in tutto il mondo. Nel 2014 in Italia hanno fatto wwoofing 5500 persone - per la maggior parte giovani – tra cui 2200 italiani, 1000 americani e 300 inglesi. Wwoof Italia è parte della rete FoWO (www.wwoof.net), la federazione che riunisce le associazioni Wwoof in una sessantina di Paesi del mondo, dalla Germania al Kazakhistan sino all’Uganda e il Guatemala. Wwoofindipendents raggruppa altri 49 Paesi senza l’associazione nazionale, come le Isole Fiji o il Madagascar.

Una wwoofer straniera in Italia. Da wwoof.it

Una wwoofer straniera in Italia. Da wwoof.it

L’associazione Wwoof di ogni Paese offre la lista delle strutture ospitanti con le informazioni necessarie, dal numero di wwoofer accolti sino alle particolarità come pasti vegani e sedute di yoga. Ranuccio e Gilda Turolla vivono a Casa Lamirtia nella calabrese valle del Savuto, dove producono formaggi, allevano piante aromatiche e api. Nel messaggio di presentazione sono chiari: «Siamo onnivori, lavoriamo per l’autosufficienza alimentare ma rifiutiamo i cibi industriali. Nell’azienda non si usano trattori, energia elettrica e gas. Il sole è il nostro orologio biologico». Ovviamente anche il tipo di lavoro rispecchia la geografia dell’Italia: in Sicilia c’è da sbizzarrirsi con i lavori negli agrumeti, in provincia di Siracusa si possono coltivare mandorle e carrube, a Trapani il sesamo, vicino a Ragusa i capperi. In Sardegna sono numerose le aziende che cercano pastori in cambio di alloggi in tenda tra gli alberi di mirto.

Casa Lamirtia, Calabria

Casa Lamirtia, Calabria

Luca Pierantoni, genovese di 28 anni e grande viaggiatore,  lavora come manager in un’azienda agricola di Capalbio ed è stato wwoofer due volte. In Toscana si è dedicato all’agricoltura sinergica e alla produzione di conserve con il Centro Geminas, (ora in Umbria), mentre in Giappone ha lavorato in una fattoria. «E’ uno splendido modo per viaggiare ma soprattutto per imparare», racconta entusiasta. «All’estero è un’occasione unica per scoprire il tipo di vita genuino del paese perché si passano le giornate con la gente del posto. Quest’estate infatti progetto di replicare, probabilmente in Corea del Sud».

(anche su Repubblica.it)

Dieci travel blogger da Inghilterra e Germania per scoprire la Liguria

Cinque giorni per visitare la Liguria, apprezzarne spiagge, montagne e prelibatezze. Ma soprattutto, cinque giorni per fotografarle e raccontarle sui social. Dal 15 al 19 aprile la Liguria ha ospitato i 10 travel blogger più conosciuti di Germania e Inghilterra, fuoriclasse del web con il dono del racconto e – qui sta la qualità più gradita - centinaia di migliaia di follower: l’obiettivo è infatti aumentare la presenza della Liguria online, sfruttando il grande seguito dei blogger invitati tra un pubblico mirato, gli amanti dei viaggi.

Le Cinque Terre (foto di Massimiliano Salvo)

Le Cinque Terre (foto di Massimiliano Salvo)

Per gli italiani sembreranno dei perfetti sconosciuti, eppure in Germania e Inghilterra i blogger in arrivo raggiungono cifre da capogiro. I nomi? Lisa Schnagelberger, per esempio. E’ una bionda trentenne di Berlino con occhi azzurrissimi, un cognome difficile da pronunciare e un sito - Lilies-diary.com – che con 60 mila utenti unici al mese è il principale blog tedesco viaggi ed enogastronomia. E poi Madlen Brückner di Puriy.de, Sabine Weisel di reisenomadin.de, Nicole Aupperle di unterwegsunddaheim.de, Ricarda Rausch di Reisedepeschen.de,  Pia Kleine Wieskamp di Travelontoast.de, blog tedesco a tema viaggi ed enogastronomia, che conta 16.700 visitatori unici al mese. Tra i  blogger inglesi la star era Alison Bailey di Malloryontravel.com, che di visitatori mensili ne ha addirittura 90.000. Qin Xie di Inpursuitoffood.com si concentra sulle specialità gastronomiche dei Paesi che visita, e con successo: ogni mese le pagine visitate sul suo sito sono più  di 157.000. Sul sito  Amateurwine.co.uk, il secondo blog seguito da Qin, si parla di vino con un platea di 16 mila persone. E infine Karen Glaser di Eattravellive.com.

Cibo ligure (foto di Massimiliano Salvo)

Cibo ligure (foto di Massimiliano Salvo)

I dieci blogger hanno visitato le riviere e Genova. Nel ponente ligure hanno faticato: con la bicicletta a Sanremo e a Finale Ligure, a piedi nel Parco del Beigua. Nella riviera di Levante hanno avuto invece modo di recuperare le energie con un tour culinario, dalle acciughe sino al vino. Spazio dunque alla miticoltura a  Portovenere, ai produttori di Sciacchetrà nelle Cinque Terrre e al Bagnun di Sestri Levante. A Chiavari visita ai vigneti  “Bisson”, mentre a Portofino sono stati gli uliveti e gli oli dell’associazione Niasca i protagonisti.

Il Parco di Portofino (foto di Massimiliano Salvo)

Il Parco di Portofino (foto di Massimiliano Salvo)

Per chi volesse vedere i post della trasferta ligure, l’hastag è #LetsGoLiguria

(anche su Repubblica.it)